giovedì 18 febbraio 2010

Gamma Ray @ Magazzini Generali, Milano

Non ci siamo.

Dio Hansen, come hai potuto.

Nonostante una serata personalmente piacevole e ricca di incontri siNpatici, il concerto di ieri è stata una sòla di proporzioni cosmiche, e ringrazio Iddio di aver sgamato gli ipotetici 25 euri del biglietto perchè non avrei tollerato di spendere così tanto per tale scabrosità.

Con ordine: aprono i Secret Sphere o presunti tali.
Presunti tali nel senso che la voce è sostituita da Alle dei TRICK OR TREAT (mitici!), e che compaiono personaggi strani sul palco come ad esempio Marco/Glenn from Livorno direttamente dagli innominabili morte-in-inglese/sigla-di-due-lettere-degli-squadroni-della-germani-nazista (non me ne volere Marco, ma sono una di quelle babbalee che alla storia che portate merda ci crede ancora).
Show gradevole per quanto la band non mi abbia mai entusiasmato (non è il mio genere, suvvia!), e Alle è bravissimo soprattutto contando il fatto che è un sostituto che si è studiato i pezzi in due giorni.

Dopodichè gli urendi Freedom Call.
Se sia stato un concerto figo e/o abbiano suonato bene non lo so e non lo voglio sapere. Sono uno dei gruppi più froci che abbia mai sentito (ben due volte, me li son beccati in giro), abbattono qualsiasi pudore nei confronti del buon gusto dando spazio a tutte le tiritere epic facilone 'neanche avvincenti' del genere e stuccano l'udito con i loro assolini a frullatore e quel cantato ridodante che solo il power teutonico minore sa donarci in tutta la sua bruttezza.
Li lascio volentieri ai quindicenni brufolosi col martello di Thor d'argento al collo e i capelli unti, e durante il concerto sbevazzo e intrattengo conversazioni varie con gli astanti.

Passiamo dunque al doloroso capitolo Gamma Ray.
Io non ascolto power metal, o almeno non più da una discreta manciata di anni, ma nonostante questo i Gamma sono sempre stati all'apice dei miei idoli, tant'è che si trattava della quinta o sesta volta che mi sono ritrovata faccia a faccia con Kai Hansen e soci.
Trovo adorabile il suo modo di essere stonato e rauco e consapevole di ciò (come disse in un intervista che gli feci un paio d'anni fa, 'nel mio percorso di cantante ci sono birre e sigarette'), trovo fantastica la faccia di culo che hanno a proporre da vent'anni pezzi tutti uguali e generalmente plagiati da sè stessi o da gruppi limitrofi con abuso di semplicità e nonchalance, e soprattutto trovo fantastico il fatto che nonostante tutto ciò abbiano sempre fatto dei signori dischi ricchi di pezzi divertentissimi e tutto sommato scarni rispetto alla media del genere, privi di quel malgusto totale di cui parlavo prima a proposito dei FridomCòl, scrivendo un capitolo notevole di un genere a cavallo tra l'heavy metal classico e il power del tempo che fu.

Detto questo, mi domando: che cazzo è la robaccia che ho visto ieri sera?
Lasciando stare la contestabilità dei magazzini generali come venue (suoni LASCIAMO PERDERE, palco LASCIAMO PERDERE, spazio LASCIAMO PERDERE), sono veramente intristita dalla performance dei poveri piccoli Hansen e seguaci.
Anzittutto, cos'è quella scenografia.
Tre pali con attaccati dei disegnini fatti male di quel simil-eddie che si portano appresso come vessillo da diversi anni. Uhm. Vabbè.
Passiamo alla musica.
Già l'arrivo sul palco non è dei migliori: tanto per cambiare l'intro è Gardens Of The Sinner (noooo, davvero? è solo il 124esimo tour che aprono con quella), i suoni lasciano veramente a desiderare e loro appajono sfavatelli.
Dopodichè, una trafila di pezzucci del nuovo disco To The Metal che non perdo tempo a classificare come peggiore di tutta la loro opera, cosa che tra l'altro mi aveva già perplessa alquanto dal momento che erano uno dei pochi gruppi che nonostante un numero considerevole di LP all'attivo erano sempre riusciti a sfornare dei buoni prodotti, seppur tremendamente ugualissimi gli uni con gli altri.
La bruttezza della scaletta continua imperterrita, dando fondo a tutti i brani più mollicci da vari episodi della loro carriera.
Non sono canzoni brutte, ma non sono canzoni da fare live, soprattutto non una dopo l'altra, visto che è un concerto dei Gamma Ray e non di Laura Pausini. Non pretendo Heart of the Unicorn, ma che fine hanno fatto i cavalli di battaglia? Dov'è Heavy Metal Universe? Dov'è Valley of the King?
Ormai nei pezzi dei primi dischi (i migliori) non ci spero più, ma quantomeno qualche altra hit single da combattimento degli ultimi 5-6...
Nulla a che vedere con la scaletta fotonica del tour precedente.

Pubblico da ceffoni sul muso, poi.
E' chiaro che la poca partecipazione è dovuta al barzottume di un gruppo che un tempo era a cazzo duro, ma così tante persone FERME tutte insieme non le avevo mai viste.
Sarò io che non sono più avvezza all'happy metal e ormai se non mi spacco quindici costole a botta non sono contenta, ma Gesù, non mi pareva che agli altri concerti la gente fosse così impietrita. Inizio a pensare che il mio personale giudizio sull'esibizione del gruppo fosse piuttosto condiviso.
Però cazzo, cosa mi stanno a signifcare i metallarini di 16 anni che ti pogano (timidamente) addosso e poi ti chiedono scusa? Cos'è, adesso il fatto di avere un paio di tette ha un qualunque rilievo durante i concerti, soprattutto qualora io faccia il doppio del casino di te ed abbia il doppio dei tuoi anni?
Bah, le nuove generazioni fanno pena.
Non ci sono più i gretti di una volta.

E così pian pianino il concerto in sordina continua e arriva in fondo, dove, sui pezzi più rodati, le qualità sonorecanore subiscono un picco in basso che nemmeno il trampolino sciistico di Holmenkollen ad Oslo; ora, che Kai Hansen sia una capra a cantare lo sappiamo tutti e lo amiamo anche per questo, e che quel meraviglioso timbro di voce sia merito di una serie di tasti premuti con dovizia è un altro particolare che non ci era mai sfuggito, ma Cristo iddio, un pò di contegno con l'uso degli effetti, perchè vedere una bocca che si separa dal microfono e la sentire la voce che continua per i venti secondi consecutivi può risultare vagamente di cattivo gusto.
Oltretutto, su Send Me A Sign proposta come brano finale, non so chi sia inciampato o abbia versato birra nelle effettiere, fatto sta che la voce si è trasformata improvvisamente in un raglio sordo senza tutte quelle eco favolose che ha rivelato la veramente poca forma vocale di Kai Hansen, che aggiungendosi ad una clamorosa toppa nel testo e nell'ordine delle strofe ha reso tremendo uno dei pochi momenti potenzialmente divertenti della serata.

Il giudizio finale e spietato è che il tour è brutto e la setlist completamente disapprovata, e riguardo all'esibizione spero fosse solo una giornata storta perchè perdere anche i Gamma Ray, a mio avviso sempre stati certezza di garanzia, sarebbe un lutto non indifferente.
Mi piange il cuore a dover dire tutto ciò sui miei amati Kai, Dirk, Henjo e Dan, ma non posso fare a meno di ricordare quando armato di un epicità fuori dal comune l'allora Dio Hansen aveva duettato con quel frocio da 4 soldi di Andi Deris degli Helloween rubandogli l'acuto finale di I want out e facendogli capire chi comandava, aprendo il culo su tutti i fronti a quella specie di cover band di sè stessi che lui stesso aveva fondato e reso immortale assieme a Kiske creando un capitolo della musica metal.

E adesso vado a farmi di lexotan dalla tristezza, scusate.

martedì 16 febbraio 2010

The Dillinger Escape Plan live @ Magnolia, Milano

Andare ad un concerto dei Dilinger Escape Plan è un'esperienza capace di insegnarti un mucchio di cose.

1) Mai andare ad un concerto Math-Core con un cappellino.
2) Mai andare ad un concerto Math-Core se due giorni dopo devi essere vivo e vegeto per fare qualcosa di importantissimo, che so, impegni di lavoro, università, matrimoni, cose così.
3) Sempre mettersi il giacchetto subito dopo un concerto Math-Core.

Arriviamo al Magnolia in situazioni surreali: dopo pacchi, gente strana che dice di venire e non viene e gente strana che non dice di venire e c'è, giungiamo davanti al solito cancellone già gremito di una folla di dimensioni piuttosto notevoli, e la cosa fa sorridere dal momento che sono le nove e mezza.
Qualcuno ha messo in giro la voce che c'è rischio pienone e che oltre una certa soglia di astanti il locale sbarra le porte, così noi pensiamo bene di essere tra i fortunelli che previo gelarsi il culo mezz'ora fuori dal locale vedranno il concerto per intero.
Quanto a me personalmente, ho degli aneddoti teneri a proposito di questo gruppo: quando uscì Miss Machine, anno del signore 2004, io avevo già tra le mani Calculating Infinity masterizzato da un mio vecchio amico di Livorno a cui devo tanto in quanto a cultura musicale (vi dico solo che fu quello che mi illuminò riguardo al fatto che non avevo ragione quando dicevo che i Faith no More erano fighi ma non mi piaceva la voce del cantante perchè per me un vero cantante era solo Bruce Dickinson). Vivevo ancora nell'Uganda musicale di Pisa con i suoi numero UNO negozi di dischi e per scaricare c'era forse un solo timido winmx a 56k che comunque a me non era permesso perchè ho avuto internet in casa ben più tardi, così, per quanto mi fosse arrivata la notizia del secondo disco, non riuscii a procurarmelo immediatamente. Caso volle che poco dopo mi trovai in estate ad Oslo ad omaggiare i miei norvegici parenti, e in un qualche super mega negozio trovai l'agognato cofanetto cartonato verdolino. Al ritorno dal centro città, in auto con mio padre, esplodevo dalla voglia di ascoltare i miei nuovi acquisti e non ci fu verso di risparmiare Panasonic Youth sparata a mille al mio povero genitore, che vidi riprendere colore solo quando cambiai in favore degli Annihilator, che se non sbaglio furono l'altro acquisto della giornata (e insomma, per far si che tuo padre ti ringrazi di avere messo gli Annihilator, devi averla fatta veramente grossa).

Tutto questo per dirvi da quanto era che aspettavo questo concerto. E per giustificare il fatto di essere arrivata al Magnolia con le galline.
Prima dei Dillinger si esibiscono nel palco piccolo tali Hierophant e tali Cubre, apprezzabili (soprattutto i secondi), ma sarò sincerissima nel dire che mi son curata poco di questi due concerti in quanto troppo presa dalla incalzante conversazione ai limiti del nerdismo che ha visto come protagonisti me, Giulia e alcuni nostri amici di last fm, che sono stati a questo giro i nostri compagni della serata (vi ho amati).
Finiti i preamboli, commiato la mia rossa compare, che naturalmente non apprezza i DEP ed è lì solo per farmi le coccole, le lascio le mie carabattole e allego un testamento conoscendo la percentuale di possibilità di non fare mai più ritorno.

Avete presente l'artwork di Miss Machine? Ecco, credo che rispecchi appieno quello che si prova durante uno dei loro concerti.


In realtà, oso quasi dire 'pensavo peggio', nel senso che in anni di onorata carriera posso dire di aver rischiato la vita ai concerti in maniera assai più intensa e comunque eravamo al Magnolia e non a San Siro, ma gli acciacchi che mi sono buscata il giorno dopo fanno da testimoni del fatto che a) Sono vecchia e b) I Dillinger spaccano.
Greg Puciato è naturalmente un faigo della madonna, incarna perfettamente lo stereotipo dell'americano -core pompato e rasato medio e come guizza sul palco iniziano a volare brandelli di carne di persone sotto il palco, oltre che la sua maglietta (strappatasi ad un certo punto!!!) per la giuoia delle astanti.
Si parte col nuovo album, poi Miss Machine come se piovesse e tutto il vecchio repertorio. I Dillinger suonano BENISSIMO, oserei dire perfettamente, dimenandosi come folli e sbriciolando gli strumenti (tra l'altro nuovo batterista - che per inciso avrà 13 anni - notevole), e aizzano il pubblico più vicino alla distruzione dell'ormai stracitato tendone del Magnolia, che a un certo punto si sguara lateralmente con la massa pogante che fuoriesce come 'la cosa' dai lavandini nei vecchi film dai buchi. Io naturalmente non perdo tempo nel tentare di rompermi qualche osso tra le prime file e come già detto mi pento di aver indossato un cappellino, che mi è svolazzato via dalla testa più e più volte e per salvare il quale ho rischiato la vita in più occasioni.

Favoloso l'abuso di bestemmie durante il concerto, tra un pezzo e l'altro l'unico commento che si sentiva aleggiare nell'aria era 'porco dio', un 'porco dio' col punto esclamativo, quello che significa 'cazzo che macchine da guerra questi qui' misto 'cazzo, che figata, è finito un altro pezzo e io sono ancora vivo'.

Il mio personale bottino di guerra annovera, in quanto a contusioni, solo una scarpa nel sopracciglio che mi ha impedito di fare espressioni facciali per un paio di giorni, e un braccio rimasto inattivo per qualche ora dopo un volo fatto a caso a fine concerto come la migliore delle mongoflettiche (del tipo che sono riuscita a salvarmi la pellaccia mentre tutti si pestavano e come ho lasciato un attimo la presa a concerto finito mi sono presa la super lecca dalla massa di babbei lanciatisi in salti olimpionici per accaparrarsi un plettro arrivato dal palco).
Caso vuole però che, uscendo in canottiera e con una temperatura corporea oltre i 57 gradi nel gelo dell'hinterland milanese, il giorno dopo mi sia svegliata con 38 e mezzo di febbre, compromettendo seriamente la mia carriera e tutta una serie di cose che dovevo fare, ma vabbè, per un concerto del genere questo ed altro.
Per ora sicuramente il migliore del 2010, anche se hanno da arrivarne altri di estremamente notevoli.
E ho anche preso la maglia bellissimissima super riot color verde militare, che Dio mi benedica.

sabato 6 febbraio 2010

Om @ Magnolia, Milano

Bene, sappiate che se questa recensione arriva a voi molto più tardi del previsto, è colpa del nostro provider internet (di cui, per essere politically correct, non citeremo il nome, cari i nostri amici di LIBERO WIND INFOSTRADA e chi cazzo siete), che ha pensato bene di privarci per ben cinque giorni della preziosa linfa vitale sprigionata dalle onde del nostro router, fottendo così non solo il necessario aggiornamento del blog e altre funzioni vitali come facebook e last fm, ma anche il lavoro della sottoscritta, giusto perchè non avere rete tre giorni prima di dover consegnare un progetto atomico di mesi e mesi cui mancano praticamente solo riferimenti internettiani è bellissimo e salutarissimo per i miei nervi e la mia imperturbabile tranquillità (eh si).

Comunque.

Gnubby: Ogni tanto mi dispiace non fare uso di droghe.
Una di queste occasioni è stata il concerto degli Om al Magnolia, ormai detentore del trofeo 'Concerti migliori benchè straziati da acustica pessima' 2009/2010.

Altro gruppo per cui vale, nel mio caso, la regola dell'alta moda: sono bellissimi ma non sono pret-à-porter.
Riescono, tranne che in momenti mirati, a spaccarmi il cazzo su disco dopo tre canzoni esattamente allo stesso modo in cui mi fai venire un orgasmo multiplo dal vivo.
Anzi, mi farebbero, se i signori Magnolia, alla luce del 64795326548324esimo concerto stoner dell'anno, capissero che quando suonano certi gruppi la gente deve vomitare dal volume dei bassi.
L'ha detto anche Al Cisneros ad un certo punto, esattamente come più o meno tutti gli astanti che si sono riuniti in un coro da stadio gridando a gran voce in più momenti di volere volumi devastanti. Dobbiamo fare forse un'associazione benefica per i subwoofer del Magnolia? Non so, una petizione, un comitato pubblico?
Le nostre orecchie sono offese dal non aver subito ancora una volta la violenza sperata.
Ma basta ripetersi, che ormai con questa storiellina sembriamo un disco rotto. Parliamo degli Om.
Droghe, dicevo. Non c'è altra soluzione.

Giulia: Arriva sempre il momento, quando Gnubby mi mette al corrente del fatto che c'è una recensione in pending che aspetta solo il mio illuminante parere per essere completata, e di conseguenza mi legge quanto già scritto, in cui annuisco, ridacchio e chioso 'dè, ciai ragione'. Poi scuoto la testa e puntualmente me ne esco con un: 'IO DISSENTO'.
Confesso di non essere una superesperta degli Om. In compenso, giusto perchè mi piace suonare ripetitiva e nella vita ho bisogno di certezze, oltre al fatto di non indossare mai calzini dello stesso colore, sono un'espertona di tutto quello che ruota attorno alla fantasmagorica persona di David Tibet. Aka, conoscevo e possedevo lo split 'Inerrant Rays of Infallible Sun'. E sono qui per affermare che per trovare noiosa cotanta meraviglia su disco, ci vuole solo la ben nota idiosincrasia di Gnubby per tutto ciò che va sotto il tag 'celestiale, lisergica, appagante, metafisica, alienante MONOTONIA'.

Gnubby: In tutto questo, cara la mia frangetta rossa (NO, NON HO DETTO FACCETTA NERA, HO DETTO FRANGETTA ROSSA, E' INUTILE CHE RIDACCHI E CANTICCHI LE TUE FASCISTERIE DA QUATTRO SOLDI, MALEDETTA MILITARETTA CHE NON SEI ALTRO), non avrai da dissentire sul fatto che LICHENS, il simpatico negroide che apriva il concerto a suon di ululati e strimpellamenti random, è stato un abbondante quarto d'ora di traviamento di coglioni, e si, datemi pure della metallara spicciola del cazzo come sempre che tanto ci sono abituata, ma sfido chiunque non abbia leccato almeno 74 peyote o pelli di rospo a darmi torto.



In compenso, tale personaggio, al secolo (dicono) Robert A. Lowe, si è sbizzarrito in suoni molto più interessanti salendo sul palco con gli Om, ove si è prodigato nel suono di percussioni varie e in gorgheggi dal sapor mediorientale (Gianna Nannini Docet).

Giulia: Infatti, non so quale dei tuoi 70 bicchieri di Bayleis stessi ordinando mentre io commentavo quanto mi stesse rompendo i coglioni Lichens, che
a) Per coloro che erano al PRE Final Fest: ho definito "la versione non propriamente inglese della pretenziosa ugola dei Directing Hand", meglio conosciuta come Barbie Diamanda Galas per la sua propensione ai gorgheggi e ai vestitini rosa
b) Per coloro che non erano al PRE Final Fest: fate un salto sulla pagina myspace dei Directing Hand e capirete cosa intendo e quanto il mio entusiasmo fosse prossimo all'elettrocardiogramma piatto

Comunque volevo consigliarti di andarci piano con i vezzeggiativi quando ti rivolgi a me, 'che mi fregano sempre.
Ma torniamo pure alla fatale mancanza d'un piatto di fettuccine al peyote...

Gnubby: Ancora una volta l'atmosfera è annichilente, e la musica ti culla in un unico movimento ondulatorio molle ma deciso e repentino, sottolineando nel mio caso il dolore dei lividi da reduce dai Dropkick Murphys, concerto decisamente da tutt'altri ritmi.
Gli Om aprono (quasi) baldanzosi con chicche del repertorio più rockeggiante, tendendo via via verso brani più stordenti che vedono il picco in una gloriosa esecuzione di 'At Giza', in cui lo show viene rinfrancato da un fonico che finalmente alza, almeno un minimo, la levetta giusta, facendo tremare il solito tendone quel minimo sindacale che non è abbastanza per poter giudicare i suoni decenti ma lì per lì ha avuto il suo effetto.
Cisneros sembra aver dopo tanti anni riconsiderato l'idea di frequentare un parrucchiere, ed appare ripulito dall'unto boccolame col quale mi aspettavo si accompagnasse come la più popolare iconografia del musicista vuole.
Si snoda in espressioni da posseduto e movimenti meccanicamente mistici pestando sul basso e decantando il repertorio della band nel microfono mentre fissa un punto a caso situato sul fondo del tendone.
Bel concerto, l'ennesimo da inserire nella categoria 'quando hanno riacceso le luci ho avuto bisogno di venti minuti per riprendermi'.

Giulia: Confesso di essermi persa l'estasi mistica di Al Cisneros in quanto ero troppo impegnata con la mia, di estasi mistica. Come ho detto più volte nel corso della serata, era dai tempi di 'The sun awakens' dei Six Organs of Admittance, o forse dalla prima comunione, che non mi trovavo innanzi ad una simile teofania. Pellegrinaggio al Magnolia: ne è decisamente valsa la pena.