giovedì 6 maggio 2010

Quireboys live @ Russi, Ravenna

E veniamo dunque al racconto dell'inizio di un magico uichend all'insegna della musica e del disagio.
Più che degli eventi musicali in sè per sè, sarebbe di certo maggiormente allegro per gli astanti un romanzetto sulle avventure & disavventure che li hanno accompagnati & inframezzati, non tanto perchè io ritenga che la mia vita personale possa essere così interessante per un lettore medio ma perchè il concatenarsi degli eventi ha in più e più occasioni generato siparietti surreali che meritano di diventare piccole parabole nel grande ipotetico vangelo del messia chiamato rock'n'roll.

Il giorno 30 aprile duemiladieci, intorno alla tarda mattinata, io, la Ghirba e un certo Neubaten Cadillac decidiamo di partire alla volta della Romagna per un tour tra località adriatiche varie che annovera, dopo un pit stop a Bologna tanto per gradire, un pò di movida nella ridente Rimini, 'se il tempo regge' un pò di mare e dopodichè la fatidica gita a Russi, provincia di Ravenna e nelle vicinanze di Godo, dove per qualche motivo sconosciuto ai più è stata organizzato a titolo gratuito un concerto del primo maggio approssimativamente metal che vede come headliners della serata i sempre ottimi e festerecci Quireboys.
Il giorno 30 aprile duemiladieci, intorno alle 15:30 del pomeriggio, io, la Ghirba e un certo Neubaten Cadillac, arrivati con bagagli e tutto davanti alla mia automobile designata come diligenza del nostro viaggio, scopriamo l'amara verità: alla mitica TROJAJOCAR è stato asportato un vetro.

Ovviamente il vetro non è stato asportato con alcun tipo di gentilezza ma frantumato da un oggetto contundente scagliato a velocità supersonica affinchè la poltiglia dei suoi cocci si spargesse benebene su tutti gli interni dell'automobile, e dentro al veicolo appaiono i chiari segni di una spasmodica ricerca di qualcosa di prezioso che i cari magrebini tossici del caso non credo proprio abbiano trovato rendendo vano l'assassinio del mio finestrino.
Cosicchè ci appare chiaro che la gita a Bologna si sta seduta stante trasformando in una gita al Brico alla volta dell'acquisto di un qualche
palliativo all'uso di un vetro, non dopo un'interminabile eliminazione dei cocci dall'auto partita in loco e proseguita da un caro benzinaro la cui pietà si è spinta al punto di offrirci gratuitamente aspirapolvere e battute amare della serie 'mi domando cosa pen
sassero di trovare in uno schifo di macchina del genere...no, voglio dire, se fossi un ladro sarebbe l'utlima auto dove immaginerei di trovare qualcosa di prezioso'.
Finita la chirurgica operazione, che è costata a tutti numerose piaghe sanguinolente nelle mani e nonostante ciò anche numerosi vetri nel culo, il viaggio prosegue sereno con diversi
divertenti aneddoti, come ad esempio passare un'ora e più ad analizzare i testi dei Beastie Boys perchè non ci ricordiamo il nome di Mastermike (oh ma cazzo, senti? dice MCA, dice MIKE D, prima o poi dirà anche il nome del terzo!), oppure creare divertenti opere d'arte con lo scotch da pacchi sul cofano della nostra auto nel parcheggio dell'autogrill.

Giunti a Rimini, abbandoniamo Cadillac al suo ovile, io mi installo dalla Ghirba's family a farmi offrire chili di graditissimi piadina & squaquerone e la serata scorre anch'essa in maniera serena.
Giorno dopo, ci alziamo di buona lena e andiamo a godere di ottimi sole e brezza marina sulla spiaggia di Bellariva, temporeggiando ampiamente per quanto riguarda la partenza per Russi in quanto nessuno ci insegue e il ravennate è sulla carta quanto di più vicino si possa pensare.
Ma tutti sappiamo che tra il dire il fare nonchè il pensare c'è di mezzo il mare, soprattutto il primo maggio sulla riviera adriatica nel tratto che va da Milano Marittima a Cervia, e questo piccolo particolare ci è costato una cospicua parte della nostra sanità mentale dal momento in cui una regolare quarantina di chilometri si è trasformata in un epopea senza fine di auto in colonna, all'interno delle quali miriadi di facce sconsolate offendo
no i protagonisti della Bibbia godendosi tra una bestemmia e l'altra i nostri divertenti karaoke per passare il tempo, nonostante la nostra rabbia sia ancora maggiore dal momento che non stiamo TORNANDO come loro bensì ANDANDO, con una buonissima possibilità di perderci tutti i concerti a causa dell'ingorgo.

Alla seconda ora e mezzo di prima-seconda-prima, decidiamo che è il caso di virare in maniera completamente random in una via secondaria verso il Nulla, sperando che prima o poi essa conduca alla ridente Russi, e in maniera molto old school nonchè miracolosa riusciamo a raggiungere il beneamato loco con la sola forza dei cartelli stradali e delle informazioni chieste nei barrini malfamati delle campagne, facendo ovviamente il giro più largo ed improponibile possibile che tutta la topografia romagnola proponga per tale destinazione.
Al nostro arrivo, i nostri più fortunati compagni arrivati prima sono già in pessime condizioni etiliche e non perdono tempo per cacciarci in mano tutte le birre e le vodke richieste dal caso, facendoci perdere gran parte dell'esibizione dei Vision Divine ma guadagnare al contempo una notevole sbornia.
Notevole sbornia la quale non può risultare che la miglior compagna per appropinquarsi al palco dei Quireboys, dove un ubriachissimo e quindi smagliante Spike ci offre il solito show allegro e brillante che la band inglese ci ha sempre riservato.
Poco c'è da dire su questa band che ho visto e rivisto ormai tons of volte...al di là del fatto che Spike inventa i testi delle canzoni, il livello tecnico è sempre buono e il tiro blues immancabile, i brani sono un inno al divertimento e, soprattutto dopo la dovuta dose di birre, i piedi non sanno star fermi e la voce sporca assale in maniera diretta e senza giri donando la dovuta oretta abbondante di svago agli astanti.
Certo, il palco improvvisato nel bel mezzo della piazza del paese non offre il massimo dei suoni, ma la band è perfetta nella sua imperfezione, e non è certo uno di quei concerti che per esser memorabile ha bisogno di chissà quale dovizia impiantistica particolare.
Finito lo show, durante il quale Spike da già cenni di cedimento, in concomitanza con l'inizio della pioggia inizia anche la migrazione verso un locus amoenus vicino che è probabilmente l'unico pub della città, non prima di aver saccheggiato nuovamente il bar locale dal quale prendiamo più birre senza pagare, e i Quireboys ci seguono a ruota mostrandoci tutto il loro amore verso l'alcool, la droghe, e le puttanelle sedicenni mediamente cesse che non mancano mai a questo genere di concerti.


Inutile dire lo stato in cui riversiamo poco dopo, scapellanti su vecchie glorie di un'infanzia sciolta sui dischi degli Iron Maiden, e grande nota di merito e demerito al contempo va alla sottoscritta che, pochi attimi dopo il delirio totale e un ampio ribadimento della sbornia a suon di southern comfort, finge estrema lucidità e si accolla di dare uno strappo al coraggioso amico Pietro e al suo compagno di avventure a Ravenna centro, prendendo il controllo della trojajocar con una tasso alcolemico da ergastolo e una conoscenza della zona pari a meno quindici arrivando in ogni caso per miracolo d'Iddio in città e riuscendo della missione, con tanto di sospiro turistico sulla via del ritorno al pasaggio nei pressi della basilica di Sant'Apollinare nuovo mentre una Ghirba stremata si gode l'arietta creata dalla vela sostitutiva al finestrino per evitare un vicinissimo sbalzo di peristalsi (leggasi RIGOZZO).
Per grazia di tutti gli dei Indù, intorno alle sei e mezza siamo incredibilmente di nuovo a Rimini, laddove mi accorgo, appena calata l'attenzione, di essere veramente ubriaca ed avere rischiato ampiamente la vita (don't try this at home), e ci caviamo via la vita dal corpo per quelle 8-9 ore necessarie alla ripresa delle nostre saluti per poi farci ingozzare nuovamente di ottime specialità da un'amorevole mammaGhirba e ripartire per l'ennesimo infinito calvario in nome della musica...

martedì 6 aprile 2010

Paaspop 2010 - Suicidal Tendencies, Infectious Grooves, Entombed, Opeth etc etc @ Schijndel, Olanda

Ed eccola che torna dall'ennesima scappatella extraitaliana per amore della musica.

A questo giro, ho da narrarvi a proposito del PAASPOP, una sorta di enorme festa dell'unità di matrice olandese dove io e Supreme ci siamo recati a festeggiare la resurrezione del Cristo in compagnia di gruppi che accozzavano molto col cattolico evento come per esempio SUICIDAL TENDENCIES ed ENTOMBED.Partiamo dall'inizio.
Ciò che ci ha spinti fino a Schijndel, che per la cronaca è un insensato coacervo di vacche&pecore ad un'oretta da Eindhoven, è stata la meravigliosa combo SUICIDAL TENDENCIES + INFECTIOUS GROOVES allo stesso festival, il Paaspop per l'appunto, con una cornice di altri piacevoli gruppi più o meno rock all'interno di questa manifestazione totalmente insensata del cuore dell'Olanda più ignorante.
Arrivare è stata un'impresa epica e siamo stati naturalmente accolti da temperature glaciali, tormente di pioggia e morte, fango woodstockiano e vento da deserto del Sahara, e non sono mancate le favolose caTSate della Gnubba quali lasciare un pezzo della tenda a casa, il bancomat che non funzionava e tante altre divertentissime avventure.
Dopo ore di travagli in giro per l'Olanda sempre accompagnati dalla matrice cibo pessimo che si confa a tutto il nord-europa, siamo arrivati in questa cittadina di massaie dove si è svolto il fantomatico festival, di cui già conoscevamo la totale stupidità ma dell'enormità della quale non c'eravamo ancora completamente resi conto.
Trattavasi infatti di un'enorme festa di paese con allestimento a tema luna-park, laddove tutte le strutture erano grandi e colorati tendoni da circo montati in mezzo a recinti di capre e le aree semantiche musicali erano un'accozzaglia di cose che non c'entravano un cazzo l'una con l'altra per accontentare un pò tutti gli olandesi volanti.
Chiaramente, la nostra meta era il palco chiamato 'Monsters of rock', l'unico che abbiamo realmente frequentato, ma pare che l'attrazione principale fosse questo aberrante main stage che al di là di un allestimento veramente feego portava al pubblico gruppi a noi totalmente sconosciuti, verosimilmente tutti idoli del pop locale, una sorta di vaschi rossi e laure pausini del popolo dei tulipani.
Poco male, noi eravamo lì per i Suicidal e Suicidal furono...ma devo dire che la casualità di tutto questo mi ha colpita non poco. Appena arrivati, i gestori del campeggio non ci hanno nascosto la loro sorpresa nel vedere gente venuta da così lontano per una roba così nazionalista, ma ciò ha avuto di buono che per la prima volta sono riuscita a non incontrare un orribile italiano per due giorni di fila. La cosa cuorisa era la plebe, che andava dalle famiglie con bambini agli zarri di periferia passando per l'immancabile cerchia di rockettari/metallari/rocabilli della peggior specie, tutti accomunati dalla ovvia matrice della birra perennemente in mano e l'ubriachezza molesta, confermando questo popolo come di ubriaconi mangiamerda tutti alti, brutti, rumorosi e con un incredebile cattivo gusto nel vestire.

Ma passiamo a parlare della musica.

PRIMO GIORNO: Inconvenienti e file ci hanno fatti arrivare al nostro palco piuttosto in ritardo, facendoci perdere i locali e (pare) valevoli Born From Pain. Così, con un'aura di scazzo non indifferente mia a causa dei soldi mancanti e di Giorgio causa soldi mancanti perchè li ha dovuti prestare a me, ci siamo appropinquati alla musica intorno alle sei del pomeriggio, non perdendo per un pelo il primo interessantissimo concerto.

KARMA TO BURN
Non sarò oggettiva perchè a me i Karma piacciono da impazzire e quindi ho naturalmente goduto. Tre americanacci tamarri con strumenti altezza ginocchia che ci hanno deliziati con il loro stoner strumentale estremamente blueseggiato. Palco grande e tendone ancora poco pieno non hanno dato al suono quella pesantezza che si confa a gruppi del loro calibro, ma per me è stata un'ottima ora di musica. I loro riff sono semplici e pestati, ottimi per scuotere la testa in maniera moderata e divertirsi senza troppe pretese. L'arrivo del cantante sul palco ha fatto decisamente calare il tono del concerto, come infatti il loro disco cantato è nettamente meno interessante di quelli completamente strumentali, dove le canzoni hanno solo nomi di numeri messi apparentemente a caso (tipo trentanove, venticinque, quattro, quaranta). Sloggiato il finocchierimmo cantante, ci hanno proposto i loro cavalli di battaglia (quindici? sedici? cinquantasei? scusate, non mi ricordo come si chiama quella figa...insomma, quella che fa sdana-nana-nana...ah, si, ma fanno tutte sdana-nana-nana...vabbè). Piacevolissimi, credo tornerò a vederli a Milano.

REVEREND HORTON HEAT
Levato il fatto che già questo salto dallo stoner al rockabilly vi fa capire quanta casualità ci sia stata su questo palco, il Reverendo ci è piaciuto.
Pietra miliare del Rockabilly ammeregano degli anni '80, con la sua band ha portato della musica suonata ottimamente, per quanto lui sia una notevola carampana. Gli stereotipi del genere ci sono stati tutti, immancabili capelli impomatati, salti di numerosi membri della band sul contrabbasso, pose del volto a 3/4 verso l'alto come ogni Jerry Lee Lewis che si rispetti, necessaria cover di Johnny Cash e uno show divertente e con tutta la dovizia tecnica di questo mondo. La scopiazzatura degli Stray Cats si è notata in ogni nota e in ogni posizione, anche se i RHH sono apparsi molto più vecchio stile sia come immagine che come movimenti, più morigerati e meno infiammati. In ogni caso non sono mancati slanci di matrice punk e il pubblico è sembrato contento, in concomitanza con il crescere del numero di birre che gli olandesi si scoppiavano a velocità folli davanti a questo vecchio gentiluomo repubblicano che sprizzava Texas da tutti i pori.

PETER PAN SPEEDROCK
Pur ammettendo che metà del concerto è andata a farsi fottere per andare a degustare delizie della casa (quali fritto, fritto, fritto, fritto, un pò di fritto con del fritto sopra, fritto in salsa di fritto, fritto fritto fritto e pasta scotta), ci siamo voluti lanciare nell'esperienza del rock'n'roll locale, e devo ammettere che è stato, Suicidal a parte, sicuramente il concerto più partecipato di tutti e due i giorni all'interno del tendone dedicato a chi si veste di nero.
La maglia di questo gruppo era sicuramente la più indossata di tutto il festival.
Io li conoscevo sommariamente e su disco mi hanno sempre suscitato un apprezzamento mai sfociato in passione, ma sono di quei gruppi che hanno la grande peculiarità nonchè pecuNiarità di mettere d'accordo un pò tutti gli amanti della musica forte, con un rock'n'roll originario intinto sia nel metal che nel punk, con la classica immagine old school motorheadiana tutta tatuaggi teschi e fiamme che tutto sommato non dispiace a nessuno.
Devo ammettere che, arrivando davanti al palco a metà concerto inoltrata, mi sono un pò mangiata le mani di non avervi assistito dall'inizio a favore della pasta scotta, perchè la dose di tiro ed ignoranza era notevole, fomentata dal fatto di essere autoctoni ed in lingua ed avere quindi un pubblico oltremodo acceso.
Nulla che rimanga nella storia ma divertentissimi e tutto sommato ben tirati, voto finale positivo.

SUICIDAL TENDENCIES
Ed eccoci finalmente alle star della nostra vacanza.
I Suicidal Tendencies sono una delle più grandi operazioni commerciali che abbia mai visto in vita mia.
Uno stuolo di zarri dell'hardcore facilone con l'immancabile cappellino con la tesa all'insù si è avvicinata progressivamente al tendone, il cui paesaggio era composto nel seguente modo: maglie dei Suicidal Tendencies, cappellini dei Suicidal Tendencies, bandane dei Suicidal Tendencies, canotte da basket dei Suicidal Tendencies abbinate ad immancabili pantaloncini dei Suicidal Tendencies, Vans dei Suicidal Tendencies ai piedi di skaters incalliti che spingevano nel fango rotelline scintillanti applicate a tavole dei Suicidal Tendencies: abbiamo persino visto la famiglia Suicidal Tendencies, con mamma papà figlio adolescente e bambinetto con denti da latte tutti firmati Suicidal Tendencies da capo a piedi.
Il telone dietro al palco si è trasformato presto in un'enorme bandana bluastra interpretabile come un sobrio monumento ad un UMILISSIMO Mike Muir, recando a caretteri cubitali le scritte NON SOLO Suicidal Tendencies MA ANCHE Infectious Grooves e Cyco Miko, giusto per esser sicuri di promuovere il prodotto a dovere.
Quattro o cinque roadies Suicidal Tendencies obesi di due metri per due metri hanno portato sul palco amplificatori Suicidal Tendencies, chitarre Suicidal Tendencies con pedaliere Suicidal Tendencies e hanno apposto su di esse bottigliette d'acqua Suicidal Tendencies, e dopo di esse la batteria con batterista incorporato già seduto sul suo trono di gloria firmato Suicidal Tendencies, laddove probabilmente l'entrarne ed uscirne fuori comportavano l'utilizzo del carro attrezzi vista la mole di tale bandanato gangsta delle bacchette sicuramente non inferiore ai 200 kg.
Mentre ancora fervevano i preparativi, la palla di grasso neGro iniziava a snodare i polsi sullo strumento componendo siNpatiche rimiche funky che già ci facevano presagire la meravigliosità del concerto a venire, e con lui progressivamente chitarre&basso mentre il pubblico Suicidal Tendencies iniziava a rendere il tendone gremito.
L'orrendo presentatore olandese laccato ha dunque fatto il suo porco dovere annunciando l'arrivo della band, che per la cronaca era già sul palco da mezz'ora senza che nessuno la cagasse di striscio, perchè, come era chiaro, tutti erano in attesa di lui solo lui nient'altro che lui...
La musica ha attaccato e dopo pochi secondi ecco, rotolando in una serie di piroette e gesti da vero zarro americano, quel favoloso armadio di tamarraggine di Mike Muir, accintosi sul palco con un intro strumentale finito con il primo dei suoi interminabili monologhi nella sua lingua personale (che potremmo con originalità chiamare Suicidal Tendencies...):
Lo show è iniziato a suon di 'uocci gana uana uocci uau', Mike ha sciorinato parole apparentemente non esistenti in alcun vocabolario alla velocità di un treno e con lui alla velocità di un treno hanno iniziato a deliziarci le orecchie due chitarre suonate con tutta la dovizia del mondo ed una combo ritmica basso&batteria devastante, intinta di punk, metal e troppo funky per essere vera, di quelle come solo i neGri sanno fare. Il pubblico olandese è stato a mio parere smuntino, si è alzato un pogo vivace ma sinceramente troppo poco violento le mie ossa ormai più piene di metallo che di calcio, in ogni caso non a causa della band che ha macinato brani perfetti intervallati da siparietti muiriani dove l'esagerazione e la tamarraggine chicana han regnato sovrani.
Un'ora abbondante di macchina da guerra musicale per sfogare l'egocentrismo di questo albero californiano nato con la bandana già in testa, con musicisti della madonna che si son presi piccoli spazi di pochi secondi durante i quali son riusciti comunque a far venire voglia di buttare via gli strumenti a tutti i suonatori in sala. Io sapevo benissimo che per loro ci sarebbe stato molto più da divertirsi il giorno dopo con gli Infectious dove si sarebbero presentati in una formazione pressochè identica, così mi sono goduta Mike che mangiava il palco a tutti e molleggiava nel suo abbigliamento da giocatore di basket sparando uno dopo l'altro i classiconi super-catchy della band californiana. Concerto conclusosi con una bella invasione di palco di quelle che vanno tanto di moda ultimamente nel punk di tendenza, dove anche io, sempre presente laddove c'è da far casino, mi sono cimentata nello scavalcamento degli amplificatori, riuscendo a raggiungere Mike che mi ha persino fatto dire 'ST!' nel microfono abbracciandomi (bei momenti).
Non c'è molto di più da dire...SUICIDAL FOR LIFE, diceva il detto.

(Oui, c'est moi avec Mike Muir. Io sono BRUTTISSIMA E DEFORME e lui girato altrove, ma non potevo non pubblicare questa ennesima perla nella mia collezione di 'l'ho toccato').

SECONDO GIORNO: Dopo una notte all'insegna dell'ibernazione e un bel sonno ristoratore, finalmente il momento tanto atteso, con 30 kg di adrenalina in corpo immmolata alla giusta causa del violent funk.

PRIMO GRUPPO CHE NON MI RICORDO COME SI CHIAMAVA: perchè sul programma ce n'era un altro ma pare siano stati sostituiti, comunque facevano rock psichedelico ed erano carini.

ENTOMBED: Grezzume allo stato puro. LG Petrov è il cantante più lercio che esista sul pianeta, e gli Intombati macinano abbastanza il palco. La mancanza di seconda chitarra è stata notevole e ha reso i suoni un pò vuoti, ma il quartetto non ha rinnegato comunque il suo spirito death&roll. Piacevoli, divertenti e ottimi per un pò di ginnastica cervicale a suon di headbanging.

INFECTIOUS GROOVES: INSANE!! Sicuramente uno dei concerti più totali della mia esistenza! A ribadire il fatto che forse nella mia vita l'unica cosa che conta è il funk...
Spettacolari. Si sono ripresentati quasi nella stessa formazione dei Suicidal, cambiando solo un chitarrista.
Troppo divertenti per essere veri. Divertenti e divertiti. A questo giro, Mike Muir ha preso incredibilmente coscienza di essere un uomo e non un Dio dell'olimpo e, seppur saltellante come sempre, ha lasciato, come è giusto che sia, il palco ai suoi musicisti. Che lo hanno sfruttato con tutte le loro forze. Le luci sono state perennemente puntate su basso e batteria, su questa sezione ritmica sbriciolante tutta lardo e scuola Berkeley nelle solite uniformi Suicidal Tendencies da testa a piedi. Seppur Mike Muir, stavolta, avesse addirittura la canotta degli Infectious Grooves (ma i pantaloncini erano ancora dei Suicidal, ovviamente).
Il pionzo bassista ha sorriso e incitato il pubblico per tutto il concerto, e ha fatto muovere teste e zampette a tutti con degli assoli sleppati paurosi che poco hanno fatto rimpiangere del venduto Trujillo ormai passato alla sponda Metallica, mancato forse solo come presenza scenica (lo scimmione è sempre lo scimmione).
Stare fermi è stato impossibile. I brani classici si sono susseguiti con minor presenza di intermezzi chiaccherati, il gruppo era palesemente più divertito nel suonare rispetto ai ST, e il groove si è spiaccicato su ogni parete del tendone. La mancanza di un paio di pezzoni (Do the sinister ad esempio, oppure Therapy, ma senza Ozzy Osbourne non avrebbe avuto senso), non ha scalfito particolarmente la qualità dell'evento. Giuro che da un gruppo così amarcord '90 e terribilmente passato di moda non mi aspettavo tanto brio e tanta bravura.
Ma quando la gente suona, suona, e quando c'è una così solida base commerciale dietro non si può mollare il colpo, piuttosto sparire per sempre.
Piacevolissima sopresa, sul serio, dal vivo sono impressionantemente più incredibili che su disco, e cancellano ogni dubbio sul 'tiro' sollevato da molti in sede di studio (effettivamente, i loro suoni non sono mai stati al pari dei loro illustri colleghi del crossover anni'90 a livello di produzione).
Voto 10+, con tutta la non-oggettività del mio amore spassionato ma anche con un orecchio allenato ai bravi musicisti.
E posso dire una cosa veramente poco politically correct?
Avete voglia di dire, ma quando si tratta di suonare... bianchi - neri zero a dieci...

ARCH ENEMY: Confesso di aver proseguito la giornata in maniera spompata, una volta andati gli Infectious.
Gli Arch Enemy mi hanno sempre fatto vomitare dal naso, però hanno un bel tiro. Marciano come dei disperati sul sesso del loro frontman, perchè una donna così non mi viene modo di chiamarla frontgirl, e sono convinta che il 90% del loro successo sia dovuto al fatto che al posto del solito buzzone birrajolo abbiano una bionda svedese dalle tette atomiche che si cimenta in dei growling pazzeschi. Ma, effettivamente, dire che non canti è impossibile.
Il death melodico del nord europa non mi è mai piaciuto, e le chitarrine strappate al power metal miste alle doppie casse più nervose di sto pianeta non sono una combo che ho mai trovato spettacolare, però il giudizio oggettivo non può esser cattivo. Ripetitivi, ecco, quello si. Ma per gli amanti del genere sono un gran gruppo, va detto, tiro e tecnica ce li hanno tutti.

TRIGGERFINGER: Gruppo belga. Sentiti già qualche volta ma mai approfonditi. Sul volantino avevo letto 'stoner' quindi ero già in prima fila.
Ma il concetto di stoner degli olandesi mi sa che è il concetto di 'indie rock finocchio' della sottoscritta.
Le magliette tutte teschi della band avevano sinceramente alzato troppo le mie aspettative, mentre si sono rivelati una frociatina commerciale di non troppo spessore. Forse non gli ho dato abbastanza tempo in quanto dopo un pò ho preferito tornare dal cibo insano, ma quello che ho visto non era proprio my cup of tea. Forse non erano nemmeno male, nell'ottica di un gruppo facilone da propinare a gente coi ciuffi e i cravattini, ma su questi generi musicali io non so pronunciarmi perchè quando sento quella voce da britannico melenso medio mi si contorcono le budella e divento verde. Per cui, se pensate di poter apprezzare il prodotto, andate a sentirveli e magari vi piaceranno anche. Io, sinceramente, passo oltre.

OPETH: Chiusura in bruttezza della festa.
Dio solo sa, da sedicente scrittrice, come non vedevo l'ora di arrivare a questo punto per tirare fuori tutto il mio talento creativo nell'insulto musicale.
Gli Opeth non sono proprio il mio genere, ok? Come avevo detto, l'accoppiata death e melodia mi ha sempre fatto storcere il naso, tanto più se come terzo termine abbiamo la parola Svezia o altro inutile paese nordico di quelli che vanno di moda oggigiorno. Ma posso dire di conoscerli abbastanza bene. Li ho ascoltati, li ho ascoltati tanto. Li ho ascoltati tanto perchè da quando sono sul mercato è un continuo bombardamento di persone, riviste, siti e cose che non fanno altro che dirmi che sono la più grande band del pianeta. Perchè seducono i bambinetti ma anche gente di un certo rispetto, perchè effettivamente son dei bravissimi musicisti, e allora io mi sono sempre sentita in dovere di provare a capirli, sul serio. Ho tutti i dischi. Li ho sentiti più di una volta. E ho un orecchio che è allenato a tutto. Al progressivo, ai controtempi crudeli, al death, a gente che vomita dalle corde vocali, TUTTO. Anche alle canzoni di 13 minuti senza capo nè coda, ma sì. Allenato al cattivo gusto, allenato al barocco, e pure i miei occhi sono allenati, a vedere dei suonatori con delle facce e degli outfit dei più disparati gradi di bruttezza.
Ma, nonostante questa incredibile dose di sforzo che ci ho messo nella dura battaglia di farmeli piacere, no, non ci sono riuscita.
E anzi, ora che li ho pure visti, il verdetto è uno, solo e definitivo: GLI OPETH MI FANNO SCHIFO AR MAJALE.
'NO MA DAL VIVO SONO FANTASTICI'
FANTASTICI DOVE?
Uno dei gruppi più smunti che abbia mai visto nella mia carriera. Smunti e pretenziosissimi allo stesso tempo!
Suoni fievoli che nemmeno nell'ambient islandese si son mai sentiti. Gatti attaccati ai coglioni allo stato puro. E, per giunta, anche discretamente brutti in viso.
ORA, va bene che siete sboroni e dovete fate il gruppo da depressi tecnomostri, ma mi pare che COMUNQUE vi classifichiate come DEATH METAL, nè?
Va bene che dovete stracciare il cazzo con infinite parti melodiche dove ci fate vedere che siete dei frullatori sui vostri rispettivi strumenti musicali, ma un urletto e una batteria pigiata come si deve ALMENO SULLE PARTI GREZZE proprio non ce li potete regalare? NO EH?
E allora mi dispiace ma rompete i coglioni e basta.
Inframezzi di un quarto d'ora tra un brano (di venti minuti) e l'altro passati ad accordare mollemente gli strumenti e con sto cantante piallacazzo che ha sempre parlato con la voce bassa e l'entusiasmo di un prete prossimo alla morte dicendo che 'in Belgio il pubblico faceva più casino'.
No, non ci siamo.
Più persone nel corso degli anni hanno persino avuto il coraggio di dirmi 'Ma come, ascolti gli Strapping Young Lad e non ti piacciono gli Opeth?'.
Vorrei fare presente, a tutte queste persone, in una battuta di batteria degli Opeth quante ce ne stanno degli Strapping. Io dico ALMENO SEI.
E dico che quando Devin Townsend apre bocca fa cascare la gente per terra, non come quel barboncino brizzolato che pare preso in prestito dal black metal sugli screaming e dalle boyband sui melodici, checcazzo.
Anzi, dirò di più. Riescono a piacermi di più su disco. Visto che tutti osannano i loro live mi sorge quasi il dubbio di aver beccato la performance sfigata, ma giuro che non è stata veramente una grande esperienza. E mi pare anche che il pubblico abbia concordato con me, dato che dopo un pò gli olandesi festaioli hanno abbandonato tutti in massa la sala a favore delle varie altre sagre della polenta locali che si stavano svolgendo al contempo nelle altre aree.
E così abbiamo fatto noi. E fallito l'esperimento Opeth, abbiamo deciso di farci una cultura sul pop locale e, per la prima volta in due giorni andare sul main stage, dove suonavano i....

BZB: ...e arriviamo proprio nel momento in cui il concerto sta per cominciare. Provati dagli Opeth, ci divertiamo nel vedere che pare un gruppo allegro.
Palco bellissimo.
Settaggio blu scuro con delle stelline ogni dove. Elementi che non mi hanno fatto riuscire ad immaginare che cazzo di genere musicale potessero fare questi.
Sono arrivati sul palco. PUBBLICO IN DELIRIO. MI sa che sono proprio il massimo del mainstream locale.
Si sono presentati in sette. Sette?
Tutti vestiti uguali: camicia blu scura a stelline con cravatta bianca. Alcuni avevano dei basettoni e delle banane molto rock old school, altri i rasta, altri un baschetto da irish rocker.
Partita subito una base folk, si sono prodigati una danza delle spade. Danza delle spade?!
Finita la danza delle spade, alcuni sono spariti.
Spariti?!
Altri hanno imbracciato degli strumenti, alcuni dei quali piuttosto insoliti.
Dopo un pò ho capito che si scambiavano i ruoli, cambiavano strumenti di canzone in canzone e alcuni se ne andavano per poi tornare un paio di pezzi dopo.
OK.
Primo pezzo, un brano tutto flautini che richiamava il folk irlandese, una sorta di Dropkick Murphys in chiave meno punk e lingua dei Paesi (Bassi) loro.
Secondo pezzo, una canzocina pop rock senza spessore.
Terzo pezzo, una cover di 'CANNABIS' degli SKA-P in lingua olandese, con fiati e tutto.
Quarto pezzo, un brano rock graffiante in stile ac/dc con tanto di fiamme sul palco.
Quinto pezzo, un assolo del batterista rasta fatto su una seconda batteria di 3/4 pezzi al massimo, musicalmente inutile ma connotato dal fatto che sul rullante ci fosse la faccia di Topolino e che il piedistallo di strumento e musicista si sia innalzato a 4/5 metri da terra mentre questo sbacchettava senza particolare virtuosismo o fantasia col pubblico impazzito sotto.
A questo punto, visto che 4 ore prima eravamo davanti ad un negro obeso che senza neanche girare la testa a 3/4 per vedere i piatti che gli faceva mangiare una quantità di merda circa il doppio del suo notevole peso corporeo, abbiamo deciso che sarebbe finita la nostra trafila di concerti.
E soprattutto, abbiamo tratto una piuttosto evidente conclusione: GLI OLANDESI SONO COMPLETAMENTE DI FUORI.

Così, altra notte fra gli uno e i due gradi, una sveglia in cui per i primi dieci minuti ho pensato di essere morta ibernata e non sono riuscita a muovere alcuna parte del mio corpo senza provare tantissimo dolore, impacchettamenti bagagli di sorta, di nuovo in mezzo alle vacche, autobus, stazione di Eindhoven, aereoporto di Eindhoven, aereo, Bergamo, Milano.
E finalmente un pò di bel tempo.

Passo e chiudo.
Anzi, un'ultima cosa: SUICIDAL FOR LIFE, INFECTIOUS FOR EVER!

giovedì 1 aprile 2010

Les Claypool live @ Alcatraz / Estragon, Milano / Bologna

Si, è vero, scusate. Siamo sparite. Sparitissime.
Ed è un peccato perchè ultimamente ne abbiamo viste di tutti i colori. Concerti underground assurdi, gruppi nuovi notevolessimi, 10 giorni a Berlino densi di mirabolanti avventure.

Ma adesso, personalmente, tutte le belle cose che volevo dirvi sono state spazzate via da un unico evento, il mio più enorme sogno da quando ero poco più che bambina diventato realtà, un avvenimento musicale che nel mio caso confluisce nella più totale divinazione, e vi consiglio di mettervi estremamente comodi perchè sento che sto per scrivere un libro.

L'ho visto, l'ho toccato, L'HO SENTITO.

Ce l'ho fatta signori&signore, anch'io posso dire di aver provato quell'esperienza ultraterrena che è un concerto di LES CLAYPOOL.

- Preambolo: cosa significa per me Les Claypool (brevemente) (forse) -

C'erano una volta i Primus, ed erano il mio gruppo preferito. Per farvi capire quanto il mio amore sia forte e durevole da anni nei loro confronti, vorrei semplicemente mostrarvi le pagine dei miei diari dalle medie in poi, ma siccome che al momento questi sono archiviati a circa 380 km da dove mi trovo ora, vi ho improvvisato un piccolo schema grafico di come essi han figurato nel corso della storia:
Partiamo dagli inizi. Premesso che la mia vita finirà ufficialmente per perdita di scopo il giorno che riuscirò a beccare una reunion dei Primus (possibilmente con Tim Alexander alla batteria, senza nulla togliere all'ottimissimo Brain), quando ho letto alcuni mesi fa che in occasione dell'uscita di 'Of fungi and foe' il Maestro sarebbe venuto a Milano ho avuto un travaso di bile, un crepacuore, un ischemia e vari altri attacchi fisici dolorosissimi.
Ed ecco che, il giorno 11 marzo, mi sono svegliata con il solito subbuglio di stomaco che si confa ai concerti di Grandissima Portata Emotiva (ricordo ancora con affetto l'incapacità di ingurgitare cibi mista 12 sigarette e 8 birre all'ora che mi colse entrambe le giornate che andai a vedere i Faith No More).
Dopo aver raccolto amici pisani in stazione ed aver in verità pranzato (ahimè quando c'è la pisanità di mezzo in un modo o nell'altro va sempre a finire che si cancella ogni anoressia di sorta), ci rechiamo nei pressi della R'n'r radio sapendo che potremmo fare incontri paranormali del terzo tipo. Senza deludere le nostre aspettative, dopo alcuni minuti di ANSIA TOTALE in cui sfodero tutto il mio talento di fan-girl isterica e di tabagista incallita, un taxi abbandona sul bordo del marciapiede antistante la più alta delle divinità olimpiche sotto forma di un bislacco uomo sui 45 dall'altezza inaspettatamente oltre la media e dall'abbigliamento bizzarro, LES CLAYPOOL, da El Sobrante con affetto, che ci passa accanto tranquillo e pacato senza accorgersi che una povera ragazzetta a pochi metri da lui sta avendo un deficit di ossigeno e sangue al cervello generando un simpatico evento di autocombustione del bel mezzo della città di Milano.


Non esce una parola una dalla mia bocca, e dopo poco riusciamo a ribeccarlo per un breve saluto in cui l'apocalittica scena del mio autismo venerativo si ripete tale e quale, tant'è che per strappargli una foto assieme devo fare affidamento sulle corde vocali dei miei accompagnatori perchè le mie continuano a funzionare poco e male.
Son fatta così ragazzi, mi emoziono con poco, e Lui è il mio Dio da quando sono piccina così, ed è sicuramente il personaggio che per più tempo ho aspettato di incontrare e sentire dal vivo tra tutti quelli che ho visto e sentito da quando son bimbetta.


(notare l'espressione di violenta felicità sul mio volto)

In ogni caso, il vero momentodipurogodimento non è certo stato averlo a 50 cm di distanza che incontrava qualche fan parlando con quella sua voce da cartone animato (è stupenda, favolosa, parla come canta anche nella realtà), bensì naturalmente andare qualche ora dopo all'alcatraz a incantarmi sui prodigi paranormali che lui e i suoi fedeli sono in grado di creare su un palco.

Anzitutto, devo assolutamente spendere alcune parole sul gruppo di supporto, gli HOT HEAD SHOW: un gruppo di pischelli praticamente neonato che pare sia capitanato dal figlio di Stewart Copeland in incognito alla voce, e con questo ho già detto parecchio a riguardo.
Dio solo sa quanto mi sono inflippata con questo terzetto dal momento che li ho sentiti: un rock jazzeggiato e ricolmo di influenze diviso tra Claypool, Zappa e Mr.Bungle, suonato da sti sbarbi inglesi vestiti da imbecilli che naturalmente appena prendono gli strumenti in mano fanno zittire tutte le malelingue sotto il palco.
Che Les Claypool avrebbe scelto come supporto un gruppo musicalmente perfetto non lo metteva in dubbio nessuno, ma non sono stata l'unica a rimanere veramente sorpresa dalla bravura di questi tizi, il cui CD promo a 5 euro è infatti andato a ruba dopo il concerto. Controtempi e passaggi in levare come se piovessero, misti ad un tocco demenziale affine alle influenze citate che rende il tutto più divertente e bambinesco, belli, ci sono piaciuti e li consiglio caldamente a tutti anche se hanno pochi punti di riferimento sulla rete (c'è comunque il loro Myspace).

Finito il loro show, anche piuttosto lungo per essere tre semi-sconosciuti di supporto ad un Grande (ma nessuno si è lamentato di ciò, anzi), parte un delizioso dj-set di sigle di cartoni animati vintage che ci mette oltremodo nel mood di avvicinarci al disneyano Les, e poco dopo inizia a fare la sua entrata sul palco la band.
Violoncellista, batterista e rumorista (xilofono/vibrafono/percussioni/synth) si approcciano agli strumenti con bislacche maschere plasticose (le stesse del video di Red State Girl), per cui non si vedono i loro sguardi ma se si vedessero direbbero sicuramente 'cari musicisti in sala preparatevi a buttare via i vostri strumenti e impiegarvi alle poste per il resto dei vostri giorni', con una salvifica eccezione per gli inflazionati chitarristi ma solo perchè Les a questo giro ha deciso di non avvalersi di tale banalissimo strumento.

Così entra pure Les, e le due ore a seguire si trasformano nella cosa più sorprendente che un essere umano possa vedere e SENTIRE nella propria vita.

Io credo che ogni persona che ascolta musica dovrebbe avere diritto ad un biglietto gratuito per un concerto del genere. Non dico che debba piacere a chiunque, e non dico nemmeno che debba necessariamente colpire, nel maGGico calderone dell'arte del suonare, la dovizia tecnica, tanto più che sono la prima a trovare fantastica una serie di gruppi che han fatto milioni di dischi pestando a caso corde a vuoto, ma cotanta BRAVURA mista a contante follia, originalità e anti-accademismo non possono non lasciare basito chiunque abbia un minimo di conoscenza musicale o anche solo dei piedi attaccati alle gambe da far vivere di vita propria alle prime note della sezione ritmica più ritmica che abbia visto nella mia vita.

Il concerto è diviso in 'aree semantiche' in base al cambio di strumenti di Les, e la prima di esse è capitanata dal vecchio Carl Thompson con cui azzera tutti i bassisti del mondo con un repertorio mellow e rilassato contraddistinto dal tapping distorto delle sue ultime fatiche. Il bello deve ancora venire ma già i primi 5-6 brani dimostrano che quest'uomo è la divinità suprema del concetto di ritmo, con le zampette di tutto l'audience che iniziano a tippettare sul canyon di suono generato dalle 4 corde del nostro amato e dell'incredibile maestria dei due pestatori di cui si avvale.
Giusto per non saper nè leggere nè scrivere, seppur la scaletta sia studiata come un crescendo già al secondo brano Les fa strappare diversi toupè con una bella 'Duchess and the proverbial mind spread', direttamente da Brown Album dei Primus, e io, naturalmente, perdo i primi dieci anni di vita.
Les sciorina la sua imbattibilità di musicista e artista con uno spirito sommesso e cartooniano, ben lontano dall'egocentrismo della gran parte dei Maestri della musica ma non per questo privo di personalità, anzi. Se ne sta buonino dal suo lato del palco, zompettando con il suo tipico passo da gallina della Pixar e lasciando ampissimo spazio alle evoluzioni sonore degli altri 3 mascherati, dando talvolta persino le spalle volgendo al muro il naso aguzzo puntellato dagli immancabili occhiali da saldatore retrò e incorniciato dalla bombetta nera.

Dopodichè, il primo cambio strumento porta sul palco il contrabbasso, e anche lì ne accadono di tutti i colori. Non si capisce se le sue azioni siano talmente studiate da sembrare follie spontanee o se scazzi completamente dall'inizio alla fine, fatto sta che pesta, percuote, sbatte con dita archetti e bacchette di ogni fattura, mentre il restante trio non si fa lasciare indietro e si prodiga in favolose interpretazioni, prima tra tutte la sostituzione di tutti i riff e gli assoli di chitarra con il violoncello (mostro di nulla).

Ad un certo punto, il nostro eroe scompare per una dozzina di minuti dal palco e da spazio ad un recital di mostruosità musicale (in senso buono, Cristo), che vede come protagonisti un batterista ma soprattutto un rumorista in pienissima forma, con un assolo combinato in cui la capacità ritmica abusa degli strumenti in ogni maniera possibile immaginabile, con picchi di follia quali il suonare uno xilofono pestandolo con un tom pestato a sua volta da una bacchetta e cose così. Altri dieci anni di vita in meno, per me.
E dopo aver lasciato ai suoi scagnozzi il momento di gloria, Les riappare mascherato da scimmione con una provetta interpretazione teatrale in cui quel maledetto simil-contrabbasso monocorda che ha un nome tecnico che non mi ricordo mai riveste il ruolo di ascia assassina con cui il goril-les compie altri formidabili prodigi musicali.

La trafila di cambi di outfit e strumenti continua e si passa da quelli che io e Buzz abbiamo amorevolmente definito Bassenjo (banjo basso) e Dobrasso (dobro basso), con un momento di totale felicità del pubblico nell'esecuzione di una commovente Southbound Pachiderm dei Primus. Ancora -10 anni da vivere per me.
Uno sconosciuto vicino di concerto intento nella produzione ciclica di materiale da assassinio di cellule nervose mi delizia con una lauta offerta di Thc (di OTTIMA qualità tra l'altro...grazie vicino di concerto, chiunque tu fossi), cosicchè io cada in uno stato di simil-trance allucinogena fomentata dai ritmi del nostro amato che si fanno più incalzanti di canzone in canzone.



Mi passano nella mente bolle colorate e flussi di silly putty intermezzati da personaggi della Disney, e mi viene in mente quando mi fumavo le prime canne della mia vita ascoltando Brown Album col mio amico di una vita Gino, coronando il momento commozione con una telefonata al suddetto in cui produco solo suoni di felicità e lascio poi parlare gli amplificatori tutto intorno.
Sul finale mi rendo conto che ho un sorriso da orecchio a orecchio stampato sulla faccia e come me tutto il pubblico che mi circonda. E' il momento in cui Les riprende in mano il Carl Thompson e ne violenta finalmente le corde come solo Lui sa fare, dando vita ad una trafila di slep fotonici che fanno tremare il palco e lasciare attoniti gli astanti, amalgamando assoli di diverse sue produzioni e improvvisazioni inedite capaci di mandare in terapia psichiatrica qualsiasi suonatore di basso.
Con i suoi leggendari suoni metallici, chiude il concerto e ci manda a casa in stato di shock.
Nelle seguenti ore, passate a cazzeggiare per le gelide vie di Milano, io e i miei prodi non riusciamo a smettere di ripetere a disco rotto quanto questo concerto sia stato il migliore della nostra esistenza. Ma solo perchè il giorno dopo deve ancora venire.
Dopo un sonno di ore iniziato intorno alle cinque del mattino e concluso ad un'ora X del pomeriggio, mi approccio a facebook e leggo tra le prime cose dell'imminente partenza di altri amici pisani ancora alla volta di Bologna per andare a godere del medesimo momento di nirvana. Rifletto su vari fattori, primo tra i quali lo sciopero delle dannate Ferrovie dello Stato, e dopo un'attenta meditazione decido che VAFFANCULO contro tutto e tutti DEVO farlo di nuovo. E così è: alle otto sono alla stazione di Bologna, alle otto e un quarto sull'autobus n.25 dove un vecchio siciliano bavoso continua a dirmi che stasera se lo menerà due volte pensandomi (?!??!?) e alle nove sono di nuovo a saltellare sui favolosi Hot Head Show, in attesa di riprovare quelle favolose sensazioni. E gli ennesimi 30 euro in meno nel portafoglio si rivelano un'ottima spesa perchè non solo la scaletta è ben variata dalla sera prima (Fisticuffs da Brown Album come seconda canzone, e già questo basta a farmi perdere gli ennesimi 10 anni di vita), ma ad un certo punto accade il seguente, meraviglioso episodio.

Les Claypool spende alcune parole a proposito del gruppo che lo ha ispirato maggiormente e tutti capiamo al volo che sta parlando dei Rush (amen).
Parla di un brano e del fatto che nonostante tutto si è accorto che pure lui fa fatica a suonare in maniera ottimale cotanta perfezione.
In quel nanosecondo che mi divide dall'attacco penso banalmente a una YYZ o una ancor più sputtanata Tom Sawyer, e invece il magico violoncello approccia un intro, QUELL'INTRO, p***o D*o, l'intro della mia canzone preferita in assoluto dei Rush e tutto sommato una delle mie canzoni preferite in assoluto di sempre, 'The Spirit of the Radio'...credo che i miei vicini di concerto abbiano temuto seriamente per la loro salute dopo la reazione che tutto ciò ha scatenato in me...avevo sempre detto che il concerto oggettivamente migliore della mia vita era stato appunto quello dei Rush nel 2004, e dal giorno prima avevo detto che assieme a quello c'era stato quello di Les Claypool...ma dopo aver sentito lo spirito della radio reinterpretata da Les Claypool, ho cancellato ogni dubbio di sorta su quale sia stato il momento più alto della mia ormai ben lunga carriera di frequentatrice di concerti...

E con questo non ho nient'altro da dire, o meglio, potrei chiamare la mondadori e accordarmi per la pubblicazione di un manuale guida alla fruizione di un concerto di Les Claypool ma ahimè ho cose più noiose da fare nella vita e probabilmente anche voi, quindi abbozzo qui questo scampolo di profezia del mio personale Vangelo di una vita e vi invito le persone inferiori che non l'abbiano mai fatto ad approcciarsi al magico mondo di questo personaggio sovraumano.

Cristo, se Les Claypool si candidasse davvero a presidente degli Stati Uniti, se si facesse curare la campagna dalla sottoscritta vincerebbe sicuramente le elezioni.

giovedì 18 febbraio 2010

Gamma Ray @ Magazzini Generali, Milano

Non ci siamo.

Dio Hansen, come hai potuto.

Nonostante una serata personalmente piacevole e ricca di incontri siNpatici, il concerto di ieri è stata una sòla di proporzioni cosmiche, e ringrazio Iddio di aver sgamato gli ipotetici 25 euri del biglietto perchè non avrei tollerato di spendere così tanto per tale scabrosità.

Con ordine: aprono i Secret Sphere o presunti tali.
Presunti tali nel senso che la voce è sostituita da Alle dei TRICK OR TREAT (mitici!), e che compaiono personaggi strani sul palco come ad esempio Marco/Glenn from Livorno direttamente dagli innominabili morte-in-inglese/sigla-di-due-lettere-degli-squadroni-della-germani-nazista (non me ne volere Marco, ma sono una di quelle babbalee che alla storia che portate merda ci crede ancora).
Show gradevole per quanto la band non mi abbia mai entusiasmato (non è il mio genere, suvvia!), e Alle è bravissimo soprattutto contando il fatto che è un sostituto che si è studiato i pezzi in due giorni.

Dopodichè gli urendi Freedom Call.
Se sia stato un concerto figo e/o abbiano suonato bene non lo so e non lo voglio sapere. Sono uno dei gruppi più froci che abbia mai sentito (ben due volte, me li son beccati in giro), abbattono qualsiasi pudore nei confronti del buon gusto dando spazio a tutte le tiritere epic facilone 'neanche avvincenti' del genere e stuccano l'udito con i loro assolini a frullatore e quel cantato ridodante che solo il power teutonico minore sa donarci in tutta la sua bruttezza.
Li lascio volentieri ai quindicenni brufolosi col martello di Thor d'argento al collo e i capelli unti, e durante il concerto sbevazzo e intrattengo conversazioni varie con gli astanti.

Passiamo dunque al doloroso capitolo Gamma Ray.
Io non ascolto power metal, o almeno non più da una discreta manciata di anni, ma nonostante questo i Gamma sono sempre stati all'apice dei miei idoli, tant'è che si trattava della quinta o sesta volta che mi sono ritrovata faccia a faccia con Kai Hansen e soci.
Trovo adorabile il suo modo di essere stonato e rauco e consapevole di ciò (come disse in un intervista che gli feci un paio d'anni fa, 'nel mio percorso di cantante ci sono birre e sigarette'), trovo fantastica la faccia di culo che hanno a proporre da vent'anni pezzi tutti uguali e generalmente plagiati da sè stessi o da gruppi limitrofi con abuso di semplicità e nonchalance, e soprattutto trovo fantastico il fatto che nonostante tutto ciò abbiano sempre fatto dei signori dischi ricchi di pezzi divertentissimi e tutto sommato scarni rispetto alla media del genere, privi di quel malgusto totale di cui parlavo prima a proposito dei FridomCòl, scrivendo un capitolo notevole di un genere a cavallo tra l'heavy metal classico e il power del tempo che fu.

Detto questo, mi domando: che cazzo è la robaccia che ho visto ieri sera?
Lasciando stare la contestabilità dei magazzini generali come venue (suoni LASCIAMO PERDERE, palco LASCIAMO PERDERE, spazio LASCIAMO PERDERE), sono veramente intristita dalla performance dei poveri piccoli Hansen e seguaci.
Anzittutto, cos'è quella scenografia.
Tre pali con attaccati dei disegnini fatti male di quel simil-eddie che si portano appresso come vessillo da diversi anni. Uhm. Vabbè.
Passiamo alla musica.
Già l'arrivo sul palco non è dei migliori: tanto per cambiare l'intro è Gardens Of The Sinner (noooo, davvero? è solo il 124esimo tour che aprono con quella), i suoni lasciano veramente a desiderare e loro appajono sfavatelli.
Dopodichè, una trafila di pezzucci del nuovo disco To The Metal che non perdo tempo a classificare come peggiore di tutta la loro opera, cosa che tra l'altro mi aveva già perplessa alquanto dal momento che erano uno dei pochi gruppi che nonostante un numero considerevole di LP all'attivo erano sempre riusciti a sfornare dei buoni prodotti, seppur tremendamente ugualissimi gli uni con gli altri.
La bruttezza della scaletta continua imperterrita, dando fondo a tutti i brani più mollicci da vari episodi della loro carriera.
Non sono canzoni brutte, ma non sono canzoni da fare live, soprattutto non una dopo l'altra, visto che è un concerto dei Gamma Ray e non di Laura Pausini. Non pretendo Heart of the Unicorn, ma che fine hanno fatto i cavalli di battaglia? Dov'è Heavy Metal Universe? Dov'è Valley of the King?
Ormai nei pezzi dei primi dischi (i migliori) non ci spero più, ma quantomeno qualche altra hit single da combattimento degli ultimi 5-6...
Nulla a che vedere con la scaletta fotonica del tour precedente.

Pubblico da ceffoni sul muso, poi.
E' chiaro che la poca partecipazione è dovuta al barzottume di un gruppo che un tempo era a cazzo duro, ma così tante persone FERME tutte insieme non le avevo mai viste.
Sarò io che non sono più avvezza all'happy metal e ormai se non mi spacco quindici costole a botta non sono contenta, ma Gesù, non mi pareva che agli altri concerti la gente fosse così impietrita. Inizio a pensare che il mio personale giudizio sull'esibizione del gruppo fosse piuttosto condiviso.
Però cazzo, cosa mi stanno a signifcare i metallarini di 16 anni che ti pogano (timidamente) addosso e poi ti chiedono scusa? Cos'è, adesso il fatto di avere un paio di tette ha un qualunque rilievo durante i concerti, soprattutto qualora io faccia il doppio del casino di te ed abbia il doppio dei tuoi anni?
Bah, le nuove generazioni fanno pena.
Non ci sono più i gretti di una volta.

E così pian pianino il concerto in sordina continua e arriva in fondo, dove, sui pezzi più rodati, le qualità sonorecanore subiscono un picco in basso che nemmeno il trampolino sciistico di Holmenkollen ad Oslo; ora, che Kai Hansen sia una capra a cantare lo sappiamo tutti e lo amiamo anche per questo, e che quel meraviglioso timbro di voce sia merito di una serie di tasti premuti con dovizia è un altro particolare che non ci era mai sfuggito, ma Cristo iddio, un pò di contegno con l'uso degli effetti, perchè vedere una bocca che si separa dal microfono e la sentire la voce che continua per i venti secondi consecutivi può risultare vagamente di cattivo gusto.
Oltretutto, su Send Me A Sign proposta come brano finale, non so chi sia inciampato o abbia versato birra nelle effettiere, fatto sta che la voce si è trasformata improvvisamente in un raglio sordo senza tutte quelle eco favolose che ha rivelato la veramente poca forma vocale di Kai Hansen, che aggiungendosi ad una clamorosa toppa nel testo e nell'ordine delle strofe ha reso tremendo uno dei pochi momenti potenzialmente divertenti della serata.

Il giudizio finale e spietato è che il tour è brutto e la setlist completamente disapprovata, e riguardo all'esibizione spero fosse solo una giornata storta perchè perdere anche i Gamma Ray, a mio avviso sempre stati certezza di garanzia, sarebbe un lutto non indifferente.
Mi piange il cuore a dover dire tutto ciò sui miei amati Kai, Dirk, Henjo e Dan, ma non posso fare a meno di ricordare quando armato di un epicità fuori dal comune l'allora Dio Hansen aveva duettato con quel frocio da 4 soldi di Andi Deris degli Helloween rubandogli l'acuto finale di I want out e facendogli capire chi comandava, aprendo il culo su tutti i fronti a quella specie di cover band di sè stessi che lui stesso aveva fondato e reso immortale assieme a Kiske creando un capitolo della musica metal.

E adesso vado a farmi di lexotan dalla tristezza, scusate.

martedì 16 febbraio 2010

The Dillinger Escape Plan live @ Magnolia, Milano

Andare ad un concerto dei Dilinger Escape Plan è un'esperienza capace di insegnarti un mucchio di cose.

1) Mai andare ad un concerto Math-Core con un cappellino.
2) Mai andare ad un concerto Math-Core se due giorni dopo devi essere vivo e vegeto per fare qualcosa di importantissimo, che so, impegni di lavoro, università, matrimoni, cose così.
3) Sempre mettersi il giacchetto subito dopo un concerto Math-Core.

Arriviamo al Magnolia in situazioni surreali: dopo pacchi, gente strana che dice di venire e non viene e gente strana che non dice di venire e c'è, giungiamo davanti al solito cancellone già gremito di una folla di dimensioni piuttosto notevoli, e la cosa fa sorridere dal momento che sono le nove e mezza.
Qualcuno ha messo in giro la voce che c'è rischio pienone e che oltre una certa soglia di astanti il locale sbarra le porte, così noi pensiamo bene di essere tra i fortunelli che previo gelarsi il culo mezz'ora fuori dal locale vedranno il concerto per intero.
Quanto a me personalmente, ho degli aneddoti teneri a proposito di questo gruppo: quando uscì Miss Machine, anno del signore 2004, io avevo già tra le mani Calculating Infinity masterizzato da un mio vecchio amico di Livorno a cui devo tanto in quanto a cultura musicale (vi dico solo che fu quello che mi illuminò riguardo al fatto che non avevo ragione quando dicevo che i Faith no More erano fighi ma non mi piaceva la voce del cantante perchè per me un vero cantante era solo Bruce Dickinson). Vivevo ancora nell'Uganda musicale di Pisa con i suoi numero UNO negozi di dischi e per scaricare c'era forse un solo timido winmx a 56k che comunque a me non era permesso perchè ho avuto internet in casa ben più tardi, così, per quanto mi fosse arrivata la notizia del secondo disco, non riuscii a procurarmelo immediatamente. Caso volle che poco dopo mi trovai in estate ad Oslo ad omaggiare i miei norvegici parenti, e in un qualche super mega negozio trovai l'agognato cofanetto cartonato verdolino. Al ritorno dal centro città, in auto con mio padre, esplodevo dalla voglia di ascoltare i miei nuovi acquisti e non ci fu verso di risparmiare Panasonic Youth sparata a mille al mio povero genitore, che vidi riprendere colore solo quando cambiai in favore degli Annihilator, che se non sbaglio furono l'altro acquisto della giornata (e insomma, per far si che tuo padre ti ringrazi di avere messo gli Annihilator, devi averla fatta veramente grossa).

Tutto questo per dirvi da quanto era che aspettavo questo concerto. E per giustificare il fatto di essere arrivata al Magnolia con le galline.
Prima dei Dillinger si esibiscono nel palco piccolo tali Hierophant e tali Cubre, apprezzabili (soprattutto i secondi), ma sarò sincerissima nel dire che mi son curata poco di questi due concerti in quanto troppo presa dalla incalzante conversazione ai limiti del nerdismo che ha visto come protagonisti me, Giulia e alcuni nostri amici di last fm, che sono stati a questo giro i nostri compagni della serata (vi ho amati).
Finiti i preamboli, commiato la mia rossa compare, che naturalmente non apprezza i DEP ed è lì solo per farmi le coccole, le lascio le mie carabattole e allego un testamento conoscendo la percentuale di possibilità di non fare mai più ritorno.

Avete presente l'artwork di Miss Machine? Ecco, credo che rispecchi appieno quello che si prova durante uno dei loro concerti.


In realtà, oso quasi dire 'pensavo peggio', nel senso che in anni di onorata carriera posso dire di aver rischiato la vita ai concerti in maniera assai più intensa e comunque eravamo al Magnolia e non a San Siro, ma gli acciacchi che mi sono buscata il giorno dopo fanno da testimoni del fatto che a) Sono vecchia e b) I Dillinger spaccano.
Greg Puciato è naturalmente un faigo della madonna, incarna perfettamente lo stereotipo dell'americano -core pompato e rasato medio e come guizza sul palco iniziano a volare brandelli di carne di persone sotto il palco, oltre che la sua maglietta (strappatasi ad un certo punto!!!) per la giuoia delle astanti.
Si parte col nuovo album, poi Miss Machine come se piovesse e tutto il vecchio repertorio. I Dillinger suonano BENISSIMO, oserei dire perfettamente, dimenandosi come folli e sbriciolando gli strumenti (tra l'altro nuovo batterista - che per inciso avrà 13 anni - notevole), e aizzano il pubblico più vicino alla distruzione dell'ormai stracitato tendone del Magnolia, che a un certo punto si sguara lateralmente con la massa pogante che fuoriesce come 'la cosa' dai lavandini nei vecchi film dai buchi. Io naturalmente non perdo tempo nel tentare di rompermi qualche osso tra le prime file e come già detto mi pento di aver indossato un cappellino, che mi è svolazzato via dalla testa più e più volte e per salvare il quale ho rischiato la vita in più occasioni.

Favoloso l'abuso di bestemmie durante il concerto, tra un pezzo e l'altro l'unico commento che si sentiva aleggiare nell'aria era 'porco dio', un 'porco dio' col punto esclamativo, quello che significa 'cazzo che macchine da guerra questi qui' misto 'cazzo, che figata, è finito un altro pezzo e io sono ancora vivo'.

Il mio personale bottino di guerra annovera, in quanto a contusioni, solo una scarpa nel sopracciglio che mi ha impedito di fare espressioni facciali per un paio di giorni, e un braccio rimasto inattivo per qualche ora dopo un volo fatto a caso a fine concerto come la migliore delle mongoflettiche (del tipo che sono riuscita a salvarmi la pellaccia mentre tutti si pestavano e come ho lasciato un attimo la presa a concerto finito mi sono presa la super lecca dalla massa di babbei lanciatisi in salti olimpionici per accaparrarsi un plettro arrivato dal palco).
Caso vuole però che, uscendo in canottiera e con una temperatura corporea oltre i 57 gradi nel gelo dell'hinterland milanese, il giorno dopo mi sia svegliata con 38 e mezzo di febbre, compromettendo seriamente la mia carriera e tutta una serie di cose che dovevo fare, ma vabbè, per un concerto del genere questo ed altro.
Per ora sicuramente il migliore del 2010, anche se hanno da arrivarne altri di estremamente notevoli.
E ho anche preso la maglia bellissimissima super riot color verde militare, che Dio mi benedica.

sabato 6 febbraio 2010

Om @ Magnolia, Milano

Bene, sappiate che se questa recensione arriva a voi molto più tardi del previsto, è colpa del nostro provider internet (di cui, per essere politically correct, non citeremo il nome, cari i nostri amici di LIBERO WIND INFOSTRADA e chi cazzo siete), che ha pensato bene di privarci per ben cinque giorni della preziosa linfa vitale sprigionata dalle onde del nostro router, fottendo così non solo il necessario aggiornamento del blog e altre funzioni vitali come facebook e last fm, ma anche il lavoro della sottoscritta, giusto perchè non avere rete tre giorni prima di dover consegnare un progetto atomico di mesi e mesi cui mancano praticamente solo riferimenti internettiani è bellissimo e salutarissimo per i miei nervi e la mia imperturbabile tranquillità (eh si).

Comunque.

Gnubby: Ogni tanto mi dispiace non fare uso di droghe.
Una di queste occasioni è stata il concerto degli Om al Magnolia, ormai detentore del trofeo 'Concerti migliori benchè straziati da acustica pessima' 2009/2010.

Altro gruppo per cui vale, nel mio caso, la regola dell'alta moda: sono bellissimi ma non sono pret-à-porter.
Riescono, tranne che in momenti mirati, a spaccarmi il cazzo su disco dopo tre canzoni esattamente allo stesso modo in cui mi fai venire un orgasmo multiplo dal vivo.
Anzi, mi farebbero, se i signori Magnolia, alla luce del 64795326548324esimo concerto stoner dell'anno, capissero che quando suonano certi gruppi la gente deve vomitare dal volume dei bassi.
L'ha detto anche Al Cisneros ad un certo punto, esattamente come più o meno tutti gli astanti che si sono riuniti in un coro da stadio gridando a gran voce in più momenti di volere volumi devastanti. Dobbiamo fare forse un'associazione benefica per i subwoofer del Magnolia? Non so, una petizione, un comitato pubblico?
Le nostre orecchie sono offese dal non aver subito ancora una volta la violenza sperata.
Ma basta ripetersi, che ormai con questa storiellina sembriamo un disco rotto. Parliamo degli Om.
Droghe, dicevo. Non c'è altra soluzione.

Giulia: Arriva sempre il momento, quando Gnubby mi mette al corrente del fatto che c'è una recensione in pending che aspetta solo il mio illuminante parere per essere completata, e di conseguenza mi legge quanto già scritto, in cui annuisco, ridacchio e chioso 'dè, ciai ragione'. Poi scuoto la testa e puntualmente me ne esco con un: 'IO DISSENTO'.
Confesso di non essere una superesperta degli Om. In compenso, giusto perchè mi piace suonare ripetitiva e nella vita ho bisogno di certezze, oltre al fatto di non indossare mai calzini dello stesso colore, sono un'espertona di tutto quello che ruota attorno alla fantasmagorica persona di David Tibet. Aka, conoscevo e possedevo lo split 'Inerrant Rays of Infallible Sun'. E sono qui per affermare che per trovare noiosa cotanta meraviglia su disco, ci vuole solo la ben nota idiosincrasia di Gnubby per tutto ciò che va sotto il tag 'celestiale, lisergica, appagante, metafisica, alienante MONOTONIA'.

Gnubby: In tutto questo, cara la mia frangetta rossa (NO, NON HO DETTO FACCETTA NERA, HO DETTO FRANGETTA ROSSA, E' INUTILE CHE RIDACCHI E CANTICCHI LE TUE FASCISTERIE DA QUATTRO SOLDI, MALEDETTA MILITARETTA CHE NON SEI ALTRO), non avrai da dissentire sul fatto che LICHENS, il simpatico negroide che apriva il concerto a suon di ululati e strimpellamenti random, è stato un abbondante quarto d'ora di traviamento di coglioni, e si, datemi pure della metallara spicciola del cazzo come sempre che tanto ci sono abituata, ma sfido chiunque non abbia leccato almeno 74 peyote o pelli di rospo a darmi torto.



In compenso, tale personaggio, al secolo (dicono) Robert A. Lowe, si è sbizzarrito in suoni molto più interessanti salendo sul palco con gli Om, ove si è prodigato nel suono di percussioni varie e in gorgheggi dal sapor mediorientale (Gianna Nannini Docet).

Giulia: Infatti, non so quale dei tuoi 70 bicchieri di Bayleis stessi ordinando mentre io commentavo quanto mi stesse rompendo i coglioni Lichens, che
a) Per coloro che erano al PRE Final Fest: ho definito "la versione non propriamente inglese della pretenziosa ugola dei Directing Hand", meglio conosciuta come Barbie Diamanda Galas per la sua propensione ai gorgheggi e ai vestitini rosa
b) Per coloro che non erano al PRE Final Fest: fate un salto sulla pagina myspace dei Directing Hand e capirete cosa intendo e quanto il mio entusiasmo fosse prossimo all'elettrocardiogramma piatto

Comunque volevo consigliarti di andarci piano con i vezzeggiativi quando ti rivolgi a me, 'che mi fregano sempre.
Ma torniamo pure alla fatale mancanza d'un piatto di fettuccine al peyote...

Gnubby: Ancora una volta l'atmosfera è annichilente, e la musica ti culla in un unico movimento ondulatorio molle ma deciso e repentino, sottolineando nel mio caso il dolore dei lividi da reduce dai Dropkick Murphys, concerto decisamente da tutt'altri ritmi.
Gli Om aprono (quasi) baldanzosi con chicche del repertorio più rockeggiante, tendendo via via verso brani più stordenti che vedono il picco in una gloriosa esecuzione di 'At Giza', in cui lo show viene rinfrancato da un fonico che finalmente alza, almeno un minimo, la levetta giusta, facendo tremare il solito tendone quel minimo sindacale che non è abbastanza per poter giudicare i suoni decenti ma lì per lì ha avuto il suo effetto.
Cisneros sembra aver dopo tanti anni riconsiderato l'idea di frequentare un parrucchiere, ed appare ripulito dall'unto boccolame col quale mi aspettavo si accompagnasse come la più popolare iconografia del musicista vuole.
Si snoda in espressioni da posseduto e movimenti meccanicamente mistici pestando sul basso e decantando il repertorio della band nel microfono mentre fissa un punto a caso situato sul fondo del tendone.
Bel concerto, l'ennesimo da inserire nella categoria 'quando hanno riacceso le luci ho avuto bisogno di venti minuti per riprendermi'.

Giulia: Confesso di essermi persa l'estasi mistica di Al Cisneros in quanto ero troppo impegnata con la mia, di estasi mistica. Come ho detto più volte nel corso della serata, era dai tempi di 'The sun awakens' dei Six Organs of Admittance, o forse dalla prima comunione, che non mi trovavo innanzi ad una simile teofania. Pellegrinaggio al Magnolia: ne è decisamente valsa la pena.

martedì 26 gennaio 2010

Dropkick Murphys + Sick of it all + Mahones @ Alcatraz, Milano

Ragnatele sulle nostre tastiere.
No, non siamo morte. Peggio: siamo sotto esami.
Agli sgoccioli delle nostre agonizzanti carriere universitarie.
Per questo, con tutto il dolore che abbiamo in corpo, abbiamo un pò tralasciato il bloggarello, esattamente come abbiamo tralasciato le nostre vite mondane, i nostri concerti e il nostro tutto.

Ma ieri, per quanto mi riguarda, la mia presenza a Q UELL'EVENTO era condizione necessaria, esattamente com'è necessario adesso che io ne scriva a proposito anzichè tornare sulla retta via dell'ultimazione della mia opera tesistica. Per cui, via alle danze signori & signore, che si parla di DROPKICK MURPHYS.
Tacciata da alcuni di avere tendenze musicali un pò troppo volatili, vi confesserò che il mio spasmodico amore per l'irish punk si perde nella mia bambinezza più assoluta, esattamente nel periodo in cui tutti queste accozzaglie di cornamuse e tatuaggi iniziavano a vedere il mercato sulla falsa riga dei Pogues e altri più o meno illustri predecessori. Ciò che mi ha sempre fatto un sacco ridere è che il più di questi gruppi sono tutto tranne che irlandes , con un'apice di ironia della sorte nella canadesità dei Mahones di cui ho avuto notizia solo iersera.
E no, non sono una fan dell'irlanda, dell'irish drunken-pride non me ne può fregà di meno, non voglio tatuarmi arpe sulla spalla (cit.Edo) e non vado particolarmente matta per i baschi e le bretelle, esattamente come non ho mai provato grande interesse per le canzoni in gaelico.
Solo che come mio solito dove c'è Crossover c'è amore (e il prossimo che intende la parola crossover come KORN e non come INCROCIO muore), e le zuppe folkpunk mi hanno sempre dato un sacco di soddisfazione.
E così, dopo una giornata passata a intrattenere ospiti toscani tra grigiume milanese e panini alla scamorza, ci siamo recati via circolare filobus 92 all'Alcatraz di Via Valtellina.
Oh, è così bello ogni tanto andare in un locale dove generalmente qualcuno sa fare i suoni.
Seppur canadesi (e NON perchè io ce l'abbia col Canada, che anzi ha dato i natali a diversi miei idoli quali Devin Townsend o i Rush, ma perchè un gruppo irish canadese mi fa spisciare dalle risa), i Mahones son risultati gradevoli, incantandoci con una buona mezzora di Irish Punk fatto bene e una fisarmonicista che credo abbia fomentato la mano destra di parecchi tra gli astanti.

Dopodichè, i Sick Of It All.
Premessa: credo che l'ultima volta in cui li ho sentiti prima di ieri sera risalisse minimo a 8-9 anni fa, in cui mi drogavo di Punk dozzinale e raccoglievo religiosamente le discografie dei NOFX, e il mio immaginario a proposito era rimasto legato a quell'era: un hardcore for dummies con censura per adattarlo agli under 18, patinato e privo di tutto ciò che l'hardcore deve avere, cioè, sostanzialmente, grezzume.
E invece nella loro esibizione alcatraziana c'è stato di che rimanere sorpresa. Col senno dipoi (aka risentirmi oggi le ultime cose in studio), continuano a farmi cagare come prima di ieri sera, ma devo ammettere che dal vivo sanno discretamente il fatto loro. Forse sono io che, ormai abituata ad andare a concerti Disagio, non sono più avvezza a dei suoni da pAIUra, ma mentre suonavan quei minchioni mi è scattata la molla del quindicenne ruspante di andare a balzellare davanti insieme a scalmanate frotte di crestoni multicolor in ferie dalla loro misera esistenza di studenti del Liceo Artistico.
Non commento la scaletta perchè non so il nome di mezzo brano, in ogni caso c'è stato di che divertirsi, al di fuori delle mie aspettative (oh, io vado a prendere una birra, tanto ci sono i Siccovitol, cheppalle). Discreto spaccamento di culi, come diciamo noi che di musica ce ne intendiamo un botto.

Arriviamo dunque ai capisaldi della serata.
Dopo una buona mezzora di 'let's go Murphys' gridati a mò di coro da stadio e di incontri incredibili con più o meno tutta la Toscana conosciuta (perchè, senza modestia alcuni, siamo un pò i migliori), si oscura la sala e appare una bella scenografia a pattern di vetrate di chiesa, seguita da un'intro infinita che tutti sapevamo essere solo il conto alla rovescia di un mastodontico suicidio di massa da compiersi rigorosamente tra la terza fila e il vuoto cosmico che vi si sarebbe generato dietro di lì a poco.
E così è stato. E' sempre bellissimo avere accanto un armadio a 4 ante senza maglietta, con più tette di me e un tatuaggio mastodontico con la scritta 'hate' sulla schiena adornato di pentacoli e satanassi gratuiti, perchè sai che sarà un concerto raffinato. Ancor più se nei dintorni ci sono poi i RAGAZZINI, che con la loro verve sanno essere molto più dolorosi del panzuto dall'aria indemoniata di cui sopra. Sui pezzi radiofonici alla 'Sunshine Highway' si rimbalza come palline di un flipper con un occhio sempre attento agli anfibi chiodati degli pseudopunk amanti del galleggio, sui brani più punk come 'Citizen C.I.A.' si salta in groppa al vicino di concerto percuotendolo coi pugni alzati e sulle irlandesate alla 'Captain Kelly's Kitchen' si sviluppa il massimo del degenero con un mix di balletto delle spade e cazzotti a caso, rendendo il concerto, almeno per chi ha voglia di tornare a casa molto malato, una assidua guerra alla sopravvivenza fomentata da spirito adolescenziale. Nulla di non sopravvivibile per chi ha le ossa formate come me e il mio affettuoso rapporto con le prime file dei principali gruppi èvi metallo del mondo, ma son comunque momenti in cui avere ventidue anni ti fa sentire di un vecchio allucinante, soprattutto la mattina dopo quando conti i lividi e i punti in cui non riesci a girare il collo, pensando a come se la gestiscono molto meglio i bimbetti di sedici anni.

Comunque non c'è nota malefica alcuna da dedicare ai Dropkick che hanno fatto il loro a regola d'arte, per quanto la solita scenetta di far salire le ragazze sul palco su 'Kiss me i'm shitfaced' e gli uomini su 'Skinhead' coi buttafuori tutti presi a stabilire l'ordine sappia un pò di finto caciarone (come, in ogni caso, è giusto che sia vista la portata del gruppo), se non che ho un pò compianto una speratissima 'Rocky Road To Dublin' che non è mai stata eseguita.
I concerti Irish, esattamente come quelli Power Metal, hanno nella mia visione il solo intento di divertire, rallegrare e far smaltire le indispensabili focacce all'unto/sottoli/formaggiograssissimo che si consumano prima di essi. Perchè io vedo in ogni genere musicale un buon motivo diverso perchè esso possa essere fruito, a eccezion fatta di alcune cose che meritano solo il benzacetilene tipo i Radiohead (sì, sempre loro, ce l'ho molto coi Radiohead, occosa ci volete fare).

Vi abbandono con un video trovato su iutub del degenero femminile nel quale, ahimè, figuro anch'io, con un'improbabile maglia degli Hanoi Rocks e delle movenze da elefantessa incinta dovute alla rottura del mio collo nei momenti antistanti l'invasione di campo.