martedì 26 gennaio 2010

Dropkick Murphys + Sick of it all + Mahones @ Alcatraz, Milano

Ragnatele sulle nostre tastiere.
No, non siamo morte. Peggio: siamo sotto esami.
Agli sgoccioli delle nostre agonizzanti carriere universitarie.
Per questo, con tutto il dolore che abbiamo in corpo, abbiamo un pò tralasciato il bloggarello, esattamente come abbiamo tralasciato le nostre vite mondane, i nostri concerti e il nostro tutto.

Ma ieri, per quanto mi riguarda, la mia presenza a Q UELL'EVENTO era condizione necessaria, esattamente com'è necessario adesso che io ne scriva a proposito anzichè tornare sulla retta via dell'ultimazione della mia opera tesistica. Per cui, via alle danze signori & signore, che si parla di DROPKICK MURPHYS.
Tacciata da alcuni di avere tendenze musicali un pò troppo volatili, vi confesserò che il mio spasmodico amore per l'irish punk si perde nella mia bambinezza più assoluta, esattamente nel periodo in cui tutti queste accozzaglie di cornamuse e tatuaggi iniziavano a vedere il mercato sulla falsa riga dei Pogues e altri più o meno illustri predecessori. Ciò che mi ha sempre fatto un sacco ridere è che il più di questi gruppi sono tutto tranne che irlandes , con un'apice di ironia della sorte nella canadesità dei Mahones di cui ho avuto notizia solo iersera.
E no, non sono una fan dell'irlanda, dell'irish drunken-pride non me ne può fregà di meno, non voglio tatuarmi arpe sulla spalla (cit.Edo) e non vado particolarmente matta per i baschi e le bretelle, esattamente come non ho mai provato grande interesse per le canzoni in gaelico.
Solo che come mio solito dove c'è Crossover c'è amore (e il prossimo che intende la parola crossover come KORN e non come INCROCIO muore), e le zuppe folkpunk mi hanno sempre dato un sacco di soddisfazione.
E così, dopo una giornata passata a intrattenere ospiti toscani tra grigiume milanese e panini alla scamorza, ci siamo recati via circolare filobus 92 all'Alcatraz di Via Valtellina.
Oh, è così bello ogni tanto andare in un locale dove generalmente qualcuno sa fare i suoni.
Seppur canadesi (e NON perchè io ce l'abbia col Canada, che anzi ha dato i natali a diversi miei idoli quali Devin Townsend o i Rush, ma perchè un gruppo irish canadese mi fa spisciare dalle risa), i Mahones son risultati gradevoli, incantandoci con una buona mezzora di Irish Punk fatto bene e una fisarmonicista che credo abbia fomentato la mano destra di parecchi tra gli astanti.

Dopodichè, i Sick Of It All.
Premessa: credo che l'ultima volta in cui li ho sentiti prima di ieri sera risalisse minimo a 8-9 anni fa, in cui mi drogavo di Punk dozzinale e raccoglievo religiosamente le discografie dei NOFX, e il mio immaginario a proposito era rimasto legato a quell'era: un hardcore for dummies con censura per adattarlo agli under 18, patinato e privo di tutto ciò che l'hardcore deve avere, cioè, sostanzialmente, grezzume.
E invece nella loro esibizione alcatraziana c'è stato di che rimanere sorpresa. Col senno dipoi (aka risentirmi oggi le ultime cose in studio), continuano a farmi cagare come prima di ieri sera, ma devo ammettere che dal vivo sanno discretamente il fatto loro. Forse sono io che, ormai abituata ad andare a concerti Disagio, non sono più avvezza a dei suoni da pAIUra, ma mentre suonavan quei minchioni mi è scattata la molla del quindicenne ruspante di andare a balzellare davanti insieme a scalmanate frotte di crestoni multicolor in ferie dalla loro misera esistenza di studenti del Liceo Artistico.
Non commento la scaletta perchè non so il nome di mezzo brano, in ogni caso c'è stato di che divertirsi, al di fuori delle mie aspettative (oh, io vado a prendere una birra, tanto ci sono i Siccovitol, cheppalle). Discreto spaccamento di culi, come diciamo noi che di musica ce ne intendiamo un botto.

Arriviamo dunque ai capisaldi della serata.
Dopo una buona mezzora di 'let's go Murphys' gridati a mò di coro da stadio e di incontri incredibili con più o meno tutta la Toscana conosciuta (perchè, senza modestia alcuni, siamo un pò i migliori), si oscura la sala e appare una bella scenografia a pattern di vetrate di chiesa, seguita da un'intro infinita che tutti sapevamo essere solo il conto alla rovescia di un mastodontico suicidio di massa da compiersi rigorosamente tra la terza fila e il vuoto cosmico che vi si sarebbe generato dietro di lì a poco.
E così è stato. E' sempre bellissimo avere accanto un armadio a 4 ante senza maglietta, con più tette di me e un tatuaggio mastodontico con la scritta 'hate' sulla schiena adornato di pentacoli e satanassi gratuiti, perchè sai che sarà un concerto raffinato. Ancor più se nei dintorni ci sono poi i RAGAZZINI, che con la loro verve sanno essere molto più dolorosi del panzuto dall'aria indemoniata di cui sopra. Sui pezzi radiofonici alla 'Sunshine Highway' si rimbalza come palline di un flipper con un occhio sempre attento agli anfibi chiodati degli pseudopunk amanti del galleggio, sui brani più punk come 'Citizen C.I.A.' si salta in groppa al vicino di concerto percuotendolo coi pugni alzati e sulle irlandesate alla 'Captain Kelly's Kitchen' si sviluppa il massimo del degenero con un mix di balletto delle spade e cazzotti a caso, rendendo il concerto, almeno per chi ha voglia di tornare a casa molto malato, una assidua guerra alla sopravvivenza fomentata da spirito adolescenziale. Nulla di non sopravvivibile per chi ha le ossa formate come me e il mio affettuoso rapporto con le prime file dei principali gruppi èvi metallo del mondo, ma son comunque momenti in cui avere ventidue anni ti fa sentire di un vecchio allucinante, soprattutto la mattina dopo quando conti i lividi e i punti in cui non riesci a girare il collo, pensando a come se la gestiscono molto meglio i bimbetti di sedici anni.

Comunque non c'è nota malefica alcuna da dedicare ai Dropkick che hanno fatto il loro a regola d'arte, per quanto la solita scenetta di far salire le ragazze sul palco su 'Kiss me i'm shitfaced' e gli uomini su 'Skinhead' coi buttafuori tutti presi a stabilire l'ordine sappia un pò di finto caciarone (come, in ogni caso, è giusto che sia vista la portata del gruppo), se non che ho un pò compianto una speratissima 'Rocky Road To Dublin' che non è mai stata eseguita.
I concerti Irish, esattamente come quelli Power Metal, hanno nella mia visione il solo intento di divertire, rallegrare e far smaltire le indispensabili focacce all'unto/sottoli/formaggiograssissimo che si consumano prima di essi. Perchè io vedo in ogni genere musicale un buon motivo diverso perchè esso possa essere fruito, a eccezion fatta di alcune cose che meritano solo il benzacetilene tipo i Radiohead (sì, sempre loro, ce l'ho molto coi Radiohead, occosa ci volete fare).

Vi abbandono con un video trovato su iutub del degenero femminile nel quale, ahimè, figuro anch'io, con un'improbabile maglia degli Hanoi Rocks e delle movenze da elefantessa incinta dovute alla rottura del mio collo nei momenti antistanti l'invasione di campo.

lunedì 11 gennaio 2010

ScumFromTheSun + Bava @ Circolo Anarchico Ghisolfa - Milano

[Disclaimer: Giulia ha detto che non scrive perchè si sente ispirata. Peccato, con tutte le offese che le toccano in questa recensione vi sareste divertiti tantissimo a leggere i nostri colloqui. In ogni caso, al concerto c'era anche lei.]

I centri sociali mi ricordano la mia bambinezza. Per qualche assurdo motivo, mi sembra sempre che chiunque vi si trovi all'interno abbia la stesso comportamento che io avevo a 15 anni. Intendo i centri sociali piccoli, lerci e true, come quelli di Pisa, non quelli di alta classe come il Cox 18 (big up!) o il Leoncavallo, che sono ormai nella mia mente più alla stregua di locale cheap che di casaoccupataconfinipolitici.
Fatto sta che dovrei abbandonare questa convinzione e recarmici più spesso, almeno qualora vi siano concerti come quello di sabato. Certo, nel più dei casi incorrerei in un vomito incessante di drum&bass e birra lidl che mi farebbe scappare dopo cinque minuti, ma a questo giro siamo state fortunate e l'esplosione di sub-woofer è stata generata da altri tipi di ritmi&melodie, che ci sono decisamente piaciuti.
Dunque. Il centro sociale anarchico in questione si chiama Ponte della Ghisolfa ed ha un aspetto meraviglioso. E' dei più piccoli e marci che abbia mai visto, e ha quell'aria vissuta e putrefatta che mi ha sempre affascinato di tali posti, mista ad attacchi d'arte di dubbia provenienza e rimanenze di flyers d'annata sui muri che recano nomi di musicisti all'apice nella hall-of-fame della musica da disagiati.
Ogni volta che entriamo in questo genere di posti c'è sempre quella cinque minuti di disadattamento che ci fa sentire un pò pesci fuor d'acqua, soprattutto qualora sia palpabile l'atmosfera di noi-siamo-tutti-amici-siamo-tutti-compagni-e-tu-chi-cazzo-sei tipica dei luoghi più intimi e piccini. Comunque, siamo donne di mondo e ci mettiamo poco ad ambientarci, purchè Giulia si ricordi che non deve inneggiare al Nazismo in maniera troppo evidente e non mostri i fraintendibili marchi che si è impressa sulle braccia a omaggio di certi gruppi della scena neofolk degli anni '80. Purtroppo è rinomato che gli estremisti politici 'di là' non hanno il senso dell'umorismo e non capiscono il lato 'estetico' della citazione destrorsa, e credo che i soliti discorsi Giulia Style su quanto siano belli gli aviatori della Luftwaffe non avrebbero avuto molta interlocuzione verbale prima di passare alle secchiate di benzina e fiammiferi accesi, soprattutto dal momento in cui sa dissimulare molto male il suo non-nazismo al punto di far venire, qualche volta, dei dubbi persino a me.
Ma piantiamola di dilungarci sulle fantasie erotiche nazionalsocialiste della mia collega e focalizziamoci sulla musica, tralasciando la parata di personaggi di dubbissimo gusto sui quali abbiamo spettegolato tutta la sera e il fatto che a Milano i centri sociali abbiano i prezzi di un locale qualsiasi di Pisa mentre i centri sociali di Pisa hanno prezzi che fanno concorrenza al Lidl stesso.
Il primo gruppo che si reca sul non-palco (pavimento, per essere pignoli), si chiama Bava ed è della zona (credo). Consiste in un quartetto di musici andati in chiara overdose da CCCP, non tanto musicale (appaiono più spinti e veloci) quanto testuale ed iconografica, e ci propina una trafila di pezzi a cassa dritta tra i quali anche alcune buone intuizioni, se per buone intuizione si può intenderei qualcosa di musicalmente non completamente già sentito e risentito nell'oceano musicale dai-Crass-in-poi con il quale ci devastiamo le orecchie da tempi non sospetti. Molti pezzi non sono male anche se a lungo andare generano una reazione di ripetitività, ma è una prerogativa del genere quindi ci sta. Testi in italiano un pò troppo ragazzi dello zoo di Berlino per i miei gusti, ma che io abbia un'idiosincrasia per ciò che parla di sociale e di politico si sa, quindi non si avevano dubbi che avrei commentato con 'oh no, ancora quel cantatodeclamatorio alla Offlaga Disco Pax che mi fa venire male all'intestino'. (I Bava non assomigliano per niente agli Offlaga Disco Pax, ma era il primo gruppo il cui cantato mi da tantissimo fastidio che mi veniva in mente).

Finiti i Bava e due deliziosi vodka orange, arrivano quindi gli ScumFronTheSun, scovati da Giulia nei suoi tour telematici su forum all'apice del disagio umano di-quelli-che-frequenta-lei. Descrizioni random sulla rete parlavano di Doom, psichedelia, ambient, elettronica e pentole battute su coperchi di pentole (il mio modo amichevole di dire industrial), e già ci immaginavamo una riedizione nostrana dei SunnO))). Ma il pastone indistinto di generi a caso ci aveva fatto capire che c'era pane per i nostri denti, e difatti il quartetto non ci ha deluso.
Un simpatico duo di analogici sparpagliati sul suolo del centro sociale si affianca ad una coppia di digitali nell'angolino malefico dei diggei del luogo, generando una formazione chitarra-basso-drum machine/synth che già ci fa capire che c'è qualcosa di non completamente ovvio nell'aria.
Si parte con luci basse, delle videoproiezioni di colori caldi (gaahhaahagahaga videoproiezioni gahagahahaga - io ho un debole per le videoproiezioni, big up per le videoproiezioni!), e una partenza quasi in sordina rispetto al resto, con dei riff stoner nella media accompagnati da una base elettronica che quasi infastidisce me, che sono dichiaratamente old school e non apprezzo i sintetizzatori qualora facciano qualcosa che potrebbe fare anche una batteria con suoni nettamente più interessanti (Giulia ovviamente non è d'accordo - lei e i suoi coperchi di pentole).
Ma ci vuol poco a far venire fuori il potenziale degli aggeggi tutti-tasti, e il sound si trasforma in un'atmosfera cupa ed irrequieta che in poco tempo fa passare in secondo piano la parte analogica a favore dei giochi elettrici della modulazione di frequenze. Bellissimo il divario tra parti prettamente elettroniche e momenti più caldi e chitarrosi, che costituiscono le fasi dei loro lunghissimi brani.

Constatazione: è sconcertante quanto ovvio di come un concerto del genere possa riuscire milioni di volte meglio in un posto di merda del genere rispetto ad un qualsiasi locale live. Sconcertante perchè si pagano biglietti salati per sentire gruppi che basano metà della loro resa sui suoni e poi sono addomesticati da fonici incompetenti e settaggi terrificanti (vedi Magnolia coi Melvins recentemente), ovvio perchè laddove tutto ciò che si ha è una stanzetta senza preamboli con quattro casse e un mixer autogestito la parte atmosferica non può che essere modulata nel migliore dei modi (se chi li produce è buono, chiaramente, ed è il nostro caso). Difatti, quel bel tepore nevrotico doom ambient dato dalle vibrazioni dei synth in crescendo che dovrebbe essere parte integrante di questo tipo di musica c'era ed è stato godibile, cullando dolcemente la vodka nel mio stomaco e mettendo quella voglia di stare ad occhi socchiusi a percepire solo le luci mutevoli delle videoproiezioni (oh, come sono poetyca quando mi ci metto!).
Di SunnO))) alla fin fine non hanno neanche granchè, essendo molto meno tetri e satanici ed estremamente più rilassanti e melodici, nonostante l'irrequietezza palesemente voluta.

Ergo, invito gli amanti del genere a tener d'occhio questo gruppo e reperire il disco 'La caduta prima del distacco', con un lodevole packaging tutto latta e industrialità che ne arricchisce la bellezza. Saremo sicuramente di nuovo dei loro quando suoneranno nei dintorni, e vi consiglio di fare altrettanto.

Nel frattempo, vi linko il loro sito e chiudo con la fine della nostra serata, ovvero la distruzione di tutta quella bellissima atmosfera segnata dall'andare allo Shelter, dove, come al solito, mi sono ingozzata di salatini per poi addormentarmi a bocca aperta sul divano, che è ormai l'immagine di me più consueta che hanno gli avventori di quel locale di cultori del demonio e di Adolfo (perchè noi siamo politically correct e ci gettiamo dall'anarchia al nazismo esoterico in men che non si dica, ahah).